2. Coscienza

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Ci sei quasi, Margot. Era quello che volevi, no? E allora perché non riesci a dormire?

Continui a ripeterti mentalmente i passi che giudichi più importanti nelle strampalate promesse che hai scritto di tuo pugno, mentre una domanda ti martella incessantemente in testa: me lo merito? Sono all'altezza?
È questo il problema: sei stata cresciuta sin da bambina per essere all'altezza dei più alti vertici che avresti voluto raggiungere, dei tuoi sogni, delle alte aspettative della tua importante famiglia, eppure da quando hai messo piede in quell'università e hai incrociato i suoi occhi tutte le tue certezze sono crollate, infrante, come fragili e dure schegge di vetro, imprendibili ed evanescenti come la nebbia mattutina, quel 𝑏𝑟𝑜𝑢𝑖𝑙𝑙𝑎𝑟𝑑 che era solito volteggiare nell'aria durante le fredde mattinate parigine, quando ancora candida e infante ti recavi a scuola.

Non è tanto il vociferare maligno delle persone che in quegli anni ti ha costantemente accompagnata come un fedele compagno ad agitarti, no, tu degli altri te ne sei sempre infischiata. È il terrore di dar loro ragione, il problema. O ancora peggio, la consapevolezza che quanto dicono sia vero: te lo meriti? Ne sei all'altezza?

Ti rigiri su un fianco, e intanto maledici la stupida tradizione che impone ai promessi sposi di non vedersi alla vigilia delle nozze, perché forse vederlo potrebbe davvero giovarti, perché forse domandargli conferma come è tuo solito fare quando vieni colta dalle tue ondate di insicurezza potrebbe farti sentire al sicuro, come cullata da una calda coperta.

Il vino che hai bevuto nel corso della serata con le tue amiche non ti ha fatto bene, semmai ti ha aiutata a schiarirti così tanto le idee da far emergere tutti quei fantasmi che da settimane, mesi, affoghi fingendo non esistano.
Margot Victoria Duvall è sempre stata una brava bambina. Ha sempre fatto quello che le veniva domandato di fare, seppur a modo suo nelle sue originali maniere.
Sii educata, ascolta i tuoi genitori, sii la migliore, non essere debole, soffri in silenzio.

Soffri in silenzio, Margot. È quello che sai fare meglio.

Eppure vi è qualcosa che ti impedisce di dormire serena, vi è qualcosa che senti premere a fondo, proprio contro il petto. No, non è l'ansia da prestazione, non è la normale paura delle spose: è la paura di 𝑓𝑎𝑙𝑙𝑖𝑟𝑒, qualcosa a cui tu non sei proprio abituata. Eccolo, il tarlo che ti martella in mente: non più il timore, ma la 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑎𝑝𝑒𝑣𝑜𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 di non esserne all'altezza.

Tua nonna ci ha provato a rincuorarti, quando il mese scorso sei andata da lei a domandarle di insegnarti a cucinare. E tuo padre ci ha provato a giustificarti, quando hai finalmente ammesso tutte le cose orribili che durante quegli anni hai fatto patire a 𝑙𝑢𝑖. Ecco dove si situa la sottile linea che da dubbio muta in certezza, ecco dove il tuo tarlo si è insinuato: proprio lì, in quella crepa minuscola e impercettibile che per tutto questo tempo è sfuggita a tutti.

Tu, la grande egoista che non ha fatto che imporre se stessa e i propri timori sulle esigenze di chi ti amava già per come eri. Tu, la grande incapace che non ha mai saputo metter da parte se stessa per dar la priorità a lui, mentre lui ti metteva su un piedistallo da lui stesso battuto, il più alto mai costruito.
Che hai fatto tu, per lui? Hai tanto scalciato i piedi, hai pianto finché non è stato tuo, e poi ti sei cullata nella tua comfort zone chiudendoti in una bolla, senza più voler sentire ragioni. E ragione hanno quando dicono che una come te in un matrimonio non durerà nemmeno cinque minuti, perché al sacrificio per il bene dell'altro non ci sei abituata.
Credi forse che basti dargli con una mano la cerimonia dei suoi sogni, in netto contrasto con i tuoi, quando poi con l'altra già lo privi del primo desiderio espresso in quanto marito negandogli il figlio desiderato? Patetica.

Ti sei tirata indietro quando ti ha chiesto di diventare genitore la prima volta, senza neppure ascoltare cosa avesse da dire. Perché è questo quello che fai sempre: chiedi, chiedi, chiedi, ma non dai mai.
Ti ripeti allora che se vuoi che duri devi imparare anche a cedere ogni tanto, a perdere, a eclissarti, perché non puoi brillare sempre tu. Da quanto tempo non fai brillare lui? Ma soprattutto: l'hai mai fatto brillare?

Hai messo bocca sulla segretezza della vostra relazione per tre anni sapendo quanto lo facesse star male e l'hai comunque avuta vinta tu.Hai messo bocca sulla casa in cui vivere sapendo quanto tenesse al suo attico e l'hai comunque avuta vinta tu. Hai messo bocca sull'argomento bambini pur vedendogli gli occhi brillare e l'hai comunque avuta vinta tu.

Spendi cinque minuti per guardarti dentro. Guardati, Margot: ancora devi diventarla, una moglie, e già hai fallito.

Nascondi tanto le tue paure dietro la scusa del non essere all'altezza dei suoi titoli accademici, che sono il doppio dei tuoi, dietro la scusa di non essere all'altezza della sua posizione sociale, quella di un futuro Duca che neppure ti aveva mai confessato le sue origini a causa di come sei fatta, ma la verità è che ti crogioli tra queste sciocchezze perché sai bene che la verità è un'altra, ben peggiore: non è dei suoi pezzi di carta o del suo sangue blu che non sei all'altezza, tu non sei all'altezza di 𝑙𝑢𝑖, non sei all'altezza del suo amore, non sei all'altezza di un sentimento tanto puro e profondo.

Dove vuoi che vada una ragazzina viziata incapace di ascoltare la persona che dice di amare? Pensi che riuscirebbe mai a raccapezzarsi in una cosa seria come il matrimonio? Dove non ci sono più mamma e papà a difenderti quando combini un pasticcio?

Senti il gelo percorrere le terminazioni nervose dei tuoi arti, perché sai che questa voce che senti nelle lande remote della tua mente ha ragione, che 𝑖𝑜 ho ragione.
Io sono la tua coscienza, Margot, quella che metti a tacere da anni senza neanche accorgertene, tanto le cure di William ti hanno resa egoista e sicura del tuo piccolo mondo.Sono la tua coscienza e ho scelto il momento a mio giudizio più propizio per venire a presentarti il conto.
Continui allora a ripeterti mentalmente i passi che giudichi più importanti nelle strampalate promesse che hai scritto di tuo pugno, per tranquillizzarti e sentirti meno egoista, mentre una domanda ti martella incessantemente in testa: me lo merito? Sono all'altezza?
Ma tanto conosci già la risposta: 𝑛𝑜, 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑜 𝑠𝑒𝑖.

( ... )

Guardi l'orologio allora, e noti che sono le cinque e undici. Ti sembra un orario accettabile per cominciare la giornata visti tutti gli ultimi preparativi che dovrai affrontare, e così ti alzi dal letto, la testa che gira, e titubante raggiungi tua cugina Victoire che dorme nel suo.
Oh, Victoire, lei sì che conosce bene il meglio e il peggio di te. La guardi, tremi ancora un po', ti chiedi se – oltre me – anche William ti presenterà il suo, di conto, tra qualche ora. Dopodiché ti pieghi su di lei e fai quello che hai sempre fatto sin da bambina, quando non sapevi cosa fare, prima che arrivasse il cavalier servente a salvarti. Le scuoti delicatamente il braccio, poi la spalla. Lei inconsciamente, ancora assonnata, sussulta quando la tua pelle gelata tocca la sua, accaldata dalle coperte.

« Vicky? Vicky, ti svegli? Non mi sento tanto bene... »

The Royal TragedyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora