Capitolo 16

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Non stavamo tornando al campus.

Seth aveva detto un'altra via all'autista e io non ero riuscita nemmeno a ribattere perché non ne avevo il coraggio. Inoltre, la parte meno sana di me voleva scoprire dove volesse portarmi.

Per tutto il tragitto avevo tenuto lo sguardo basso, sulle mani sul grembo. Pizzicavo le dita tra loro per rilassare i nervi ma era inutile. Sentivo che lui era arrabbiato e questo non poteva rilassarmi. Avevo lanciato poche volte lo sguardo alle sue mani appoggiate sulle gambe. Mi si era stretto lo stomaco alle nocche spaccate e livide e mi chiesi se almeno avesse curato quei tagli sul corpo. Quando provai a rubargli uno sguardo lui lo captò immediatamente e mi lanciò un'occhiata sbieca dall'alto che mi fece arrossire e guardare altrove, colta sul fatto.

«Siamo arrivati.» Annunciò l'autista, spezzando il fitto silenzio.

Guardai rapidamente fuori dal finestrino a destra ma era troppo buio per capirci qualcosa.

«Tenga il resto.» Disse Seth monocorde.

Mi voltai nuovamente vedendo l'uomo con le dita sollevate e una bancone tra esse. Seth aveva già aperto la portiera e sembrava impaziente di richiuderla. Mi affrettai a raggiungerlo, ringraziando l'autista, e sussultai quando sbattè con forza la portiera.

«Dove siamo?» Chiesi.

Sembrava più un'area industriale. Gli edifici incutevano un po' di timore a causa dei pochi lampioni presenti.

«Vieni.» Fu tutto ciò che disse.

Lo seguii in silenzio. Arrivammo davanti ad una porta in ottone arrugginita. Seth infilò una chiave nella serratura e l'aprì. Entrò prima lui e tenne la porta aperta per me. Quando si richiuse, sbattè tremante con un tonfo. C'erano solo delle scale che salivano sui vari pianerottoli. Seth iniziò a salire e io lo seguii. Faceva freddo dentro qui e mi strinsi nella giacca.

Arrivammo all'ultimo piano e c'era solo una porta. Seth infilò anche in quella serratura una chiave e poi l'aprì. Questa volta rimase fuori e si voltò verso di me.

«Aspettami dentro.»

Guardai l'interno. Era un piccolo loft. Lui si diresse verso le scale.

«Tu dove vai?» Chiesi, rimanendo sull'uscio.

Mi guardò rapidamente oltre la spalla. «Entra. Torno subito.»

Aprii la bocca per ribattere ma lui si era già voltato e aveva iniziato a riscendere le scale. Sospirando, entrai e mi chiusi la porta alle spalle.

Di chi era questo appartamento?

Non era grandissimo e molto semplice. Il soffitto era fatto da assi di legno e la parete in mattone era ripresa in più punti. Aveva un cucinotto ad angolo destra dell'ingresso con un tavolino. C'era al centro un divano a tre posti e contro alla parete di destra un tavolino con un televisore. Sulla lunga e spoglia parete di sinistra c'era una porta che supposi fosse il bagno. Non c'era segno che fosse vissuto. Nessun oggetto personale. Sembrava solo un punto comodo. Faceva anche freddo, infatti, rabbrividii sotto tutti quei vestiti. Ciò che però attirava sicuramente l'attenzione era il letto che stava in fondo su un'area sollevata che si raggiungeva con dei gradini. Dietro al letto si apriva questa grandissima vetrata a quadri sullo skyline notturno di San Francisco, con tanto di ponte.

Era meraviglioso.

Mi sarebbe piaciuto avvicinarsi ma quando pensai di avanzare verso quell'area la porta si aprì e mi voltai di scatto. Seth stava entrando e mi chiesi dove fosse andato. C'era qualcuno che conosceva in questo palazzo?

Chiuse la porta a chiave. Si tolse la giacca che buttò sul tavolo, rimanendo con la stessa felpa dell'incontro. C'erano ancora gli squarci sul tessuto. E andò al frigorifero. Io rimasi immobile a fissarlo mentre tirava fuori una lattina di birra e l'aprì. Se la scolò tutta d'un fiato. Il pomo d'Adamo risaliva ad ogni sorso rapido. Poi restò con le guance gonfie mentre la schiacciava nel palmo e, mentre ingoiava il liquido, buttò la lattina vuota nel lavandino. Inspirò a fondo e si appoggiò al lavello, facendo cadere la testa indietro e chiudendo gli occhi. Sentivo il mio cuore battere regolare ma forte.

Avenging AngelsWhere stories live. Discover now