Capitolo 27

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C'era un ragazzo nel luogo della posizione inoltrata da mio fratello. Se ne stava contro una vecchia macchina che non vedeva una pulizia da molto tempo e con vari graffi e colpi sulla carrozzeria. La confraternita era molto vicina ma il muro di un altro edificio, appena girato l'angolo del marciapiede, poteva coprirmi da occhi indiscreti.

«Finalmente sei arrivata, zuccherino.»

Trattenni una smorfia. Quel ragazzo sembrava un criminale. Non mi piaceva giudicare dall'apparenza ma non potevo non arrivare a quella conclusione guardando il sopracciglio destro diviso da una cicatrice, tatuaggi anche sul collo e volto, una barba incolta e un ghigno schifosamente malizioso che fissava le mie gambe.

«Chi sei?» Chiesi senza osare avvicinarmi.

Fu lui ad avvicinarsi e io indietreggiai.

«Un amico di Ian.» I suoi occhi mi avrebbero divorato se solo avessi aperto la giacca di pelle. «Difficile pensare che un bel bocconcino come te sia una puttanella al guinzaglio di mamma e papà. Che famigliola adorabile che siete.»

Non avevo idea di cosa gli avesse detto Ian, di come si fossero conosciuti e cosa volessero fare con i miei soldi -che non erano nemmeno tutti- ma sapevo che mi odiava tanto quanto Ian odiava noi. E in parte, potevo anche comprendere. Tuttavia non volevo stare qui a perdere altro tempo con lui, lontano dagli occhi di chi avrebbe potuto aiutarmi nel caso le cose fossero andate male.

Tirai fuori i soldi arrotolati e lui si guardò intorno prima di afferrarli.

«Cinquemila?» Chiese, tirando via l'elastico.

«Quasi.» Deglutii. «Tremila e cinquecento--»

«Ian aveva detto cinque.» La sua voce si inasprì.

Non pensavo che la situazione sarebbe peggiorata cosi velocemente.

«Lo so m-ma non posso prenderli in una sola giornata.» Mi affrettai a spiegare. Lui si spazientì e si pizzicò il naso. «Domani posso--»

«Domani un cazzo! Mi servivano questa sera.»

Iniziai a tremare sotto la giacca maschile più grande di me. Volevo scappare. Volevo tornare alla festa e nascondermi.

I suoi occhi si iniettarono di un luccichio perverso e malvagio, poi avanzò in fretta. Sgranai gli occhi e sobbalzai finché non mi scontrai alla parete alle mie spalle. Le parole si ghiacciarono in gola appena mi sfiorò una guancia con le dita. Era più alto di me ma non quanto Seth. Sicuramente abbastanza grosso da essere più forte di me.

«Forse potrei chiudere un occhio se tu aprissi altro per me.» Mi alitò in faccia, quasi vomitai all'odore di birra e fumo.

«Domani--»

«Domani ce ne andiamo.» Disse mentre osservava le sue dita scendere e accarezzare il mio collo. «Ah, vedo che ci siamo già divertite questa sera.»

Mi irrigidii, probabilmente parlava dei segni che Seth aveva lasciato e sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi. Non avevo con me nemmeno il coltellino, perché non l'avevo portato? Questa era decisamente una situazione da coltellino, cazzo.

«Vediamo cosa nascondiamo sotto qui...»

Un brivido di paura mi attraversò la schiena. Seth. Era proprio in quella casa, a pochi metri di distanza da tutto questo. Sarebbe impazzito se avesse scoperto cosa stesse succedendo qui ma forse potevo provare quelle mosse che mi aveva insegnato, scappare e chiedere aiuto a lui, se solo fossi riuscita a muovere un muscolo.

Eppure non riuscivo. La paura era troppo forte. Mi incatenava e mi faceva solo tremare. Sentivo la bile in gola e lo guardavo con le lacrime agli occhi, il respiro mozzato. Lui sorrise cinico mentre stringeva il tiretto della cerniera e iniziava ad abbassarla. Non di nuovo. Fai qualcosa, gridai mentalmente a me stessa. Non di nuovo. Seth non sarebbe venuto a salvarmi come l'altra volta. Non dovevo aspettare nessuno. Dovevo agire da sola. Difendermi da sola. E più lui mi scopriva e rivelava ciò che nascondevo sotto la giacca, più io tremavo ma avvertii un senso di rabbia misto alla paura crescere nelle mie vene.

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