21 La legge del mondo: avanti✔️

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(Magdalenna Klimova, Babushka)

Quando iniziai a pensare, le urla erano cessate da un pezzo.

Non ero riuscita a dormire e, se per caso ci fossi riuscita, mi sarei sentita maggiormente in colpa. Continuai a ripensare a Dominik, alle sue urla di dolore e di paura e di come, improvvisamente, si fossero smorzate del tutto, una volta allontanata. Quindi era quella la vera soluzione, allontanarsi? Non ero sicura che avrebbe funzionato. Tapparsi le orecchie non era una soluzione accettabile.

Come eravamo finiti in quella situazione? Quale passo tra una famiglia felice a la disfatta del mio mondo avevo saltato? Continuavo a pensare a mia madre, a tutto quello in cui sperava e amava e riflettei che era stato tutto un enorme sbaglio. Avrei dovuto insistere di più quel giorno, quando Gabe mi raccontò delle precedenti mogli Petronovik, morte in circostanze strane e nell'ombra. Pensai e ripensai a tutti gli scenari che avrei potuto evitare o creare senza perdere niente e nessuno, ma giunsi finalmente alla conclusione che anche quello non serviva a niente di concreto. Non potevo passare la vita a rimpiangere le scelte che avevo fatto, continuare a immaginare a come uscire da quell'inferno non mi avrebbe fatta fuggire.

E ti frega già la parola. Immaginazione. Qualcosa di non vero. Pensare al futuro non mi avrebbe salvata e non potevo permettermi di usarlo come benda per sfuggire al presente; dovevo affrontarlo.

Tenni gli occhi chiusi. Non ero pronta a riaprirli. Davo la schiena a Michael, ma lui mi era vicino. Non sapevo se dormisse o, come me, stesse pensando a suo fratello e a come stava. In ogni caso non mi mossi, la sua presenza non mi dette fastidio. La pelle di Michael era davvero calda e mi riscaldava le braccia piene di brividi.

La porta della camera si spalancò senza delicatezza e io fui la prima ad accorgersene. Sbatté contro il muro e il corpo addormentato e molle di Michael improvvisamente si tese, spaventato. Una mano lasciò la maniglia arricciata, poi ci furono dei passi veloci e pensanti e alla fine una luce grigia entrò nella stanza, squarciando il buio.

Michael rabbrividì ed emise un lamento. Io mi coprii gli occhi, rotolandomi più a lato del cuscino. Solo per un misero secondo pensai che fosse Dominik, che fosse entrato così bruscamente per risvegliarci in una delle sue freddure, ma poi quella speranza svanì. Appena i miei occhi si abituarono alla luce, vedetti il volto rugoso e severo di una donna. Era vestita di tutto punto, con un abito lungo ed esageratamente pudico, grigio antracite. La sottogonna le rasentava i piedi.

Non sembrava una domestica, non perlomeno dai modi bruschi e dagli occhi taglienti. Tutte le servette di Gilbert erano più giovani di lui, abbastanza belle e accondiscendi ad ogni sua richiesta. Lei era un opposto: il suo volto era pieno di rughe e solchi, la pelle dalla sfumatura olivastra era percorsa da numerose e vecchie cicatrici rosa pallido. I sottili capelli grigi erano tirati in una crocchia ordinata.

La donna mi guardò con astio, dopodiché si rivolse a Michael, unendo le mani.

«Michael Alèx Petronovik» lo chiamò con autorità. Michael aprì la bocca e si tirò velocemente su a sedere. «Pozor! Shlyukha v gostevoy krovati.»

Michael arrossì e mi guardò, come temendo qualcosa da parte mia. Mi sollevai dal materasso, mettendomi seduta e stropicciandomi gli occhi ancora deboli. La donna, al mio semplice gesto, tirò le labbra e dedicò a Michael un'espressione accusatoria. Il ragazzo sospirò, si passò una mano sul volto e le parlò rapidamente, spiegando qualcosa.

Pensai forse che era l'ennesima domestica stanca di preparare entrambe le camere se poi era ovvio che preferisse passare la notte altrove.

La voce di Michael divenne sempre sempre più bassa e le sue guance presero colore. Udii la parola «sestra» che riconobbi perché Felicis mi aveva chiamata così. Significava sorella. Guardai la donna negli occhi e lei subito li abbassò, mortificata.

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