43 L'equilibrio sopra la follia 1/2✔

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Urlai più forte. Dominik mi afferrò i capelli sulla nuca, li tirò verso l'alto e mi schiacciò il viso contro il lenzuolo madido del nostro sudore, sperando di attutire i miei strilli acuti, continuando ad entrare in me.

«Allora, piccola donna,» mi canzonò con un ringhio, sfiorandomi con tutto il suo corpo, fermando le mani sulle natiche, stringendole forte e avvicinandole a lui con un gesto deciso, «ti senti ancora così audace e ribelle con il mio cazzo che ti fotte il culo?»

Strillai disperata, in crisi. Ero sotto di lui e mi stava letteralmente schiacciando con la sua mole: la parte inferiore della schiena e gli avambracci sembravano essere fatti di aghi e di fuoco, la colonna vertebrale, fu una mia impressione, pareva essersi staccata dal dorso come un ramo spezzato in mezzo ad una tempesta. Non avevo le forze necessarie per mantenermi in quella scomoda posizione, ma la sua mano premuta contro il bacino mi faceva restare ferma, a piangere e a subire.

Senza preavviso, mi prese per i fianchi e mi incurvò in avanti facendo scivolare fuori il membro, per poi penetrarmi di nuovo con maggiore impeto. Soffocai un grido di sofferenza.

«Mi... fai male!» piansi con il fiato corto.

«Oh, povera Chanel!» mi prese in giro freddamente.

Entrò più a fondo, spingendo la sua erezione infuocata dentro la cavità calda. Il dolore che provavo era indescrivibile. Dominik era molto grande, non riuscivo a capire quanto di lui fosse oramai dentro di me e se mai avrebbe smesso, mi stava devastando con i suoi movimenti e le sue spinte violente. Continuava a muoversi con determinazione, ignorando i miei lamenti e le lacrime che mi stavano sgorgando come cascate dagli occhi. Lo stava facendo senza pietà, con un'orrenda facilità e, peggio di tutto, per darmi una lezione e godere a fondo.

Morsi il lenzuolo, scaricando la rabbia e il dolore in quell'inutile pezzo di stoffa bianco. Feci del mio meglio per non vomitare, per un momento temetti di farlo davvero per via delle sue continue spinte che sembravano sollecitarmi tutti gli organi interni, fino alla gola. Se non fosse stata per quella posizione, con gli avambracci e le ginocchia contro il materasso, mi sarei già rivoltata e l'avrei fatto. Magari mi sarei tolta quella viscida sensazione di dosso.

«Ti sei sentita forte a venire qui» ansimò eccitato «a deridermi, ad insultarmi e a sputarmi in faccia?» Mugugnai a denti stretti. Avvicinò le labbra al mio orecchio e dolcemente fece le fusa. «Rispondimi, sono impaziente di sentire!» Spinsi la testa indietro, scuotendola, per spronarlo a levarsi da me. «Fallo, o guarda come ti apro in due, lurida puttana.»

«Vaffanculo, Dom!» strillai di proposito, sapendo quanto gli desse fastidio lo chiamassi con il suo soprannome.

Il respiro si fece sempre più affannoso e tentai di muovere il corpo in avanti. Una fitta atroce mi fermò e uno stimolo più intimo e impudico mi scosse il cervello.

«Immobile,» mi avvertì lui severo «o per caso ti piace il dolore?»

Non ribattei, tenendomi dentro ciò che avevo.

Il mio corpo iniziò a reagire, mentre mille stimoli nervosi mi percorrevano incessantemente tutti i nervi delle gambe. Mi cavalcò, letteralmente, con furia e passione. Fu come essere continuamente spinti dalle onde del mare, tentare di rimettersi in piedi e uscire dall'acqua, per poi finire colpiti alle spalle da quella successiva.

Abbandonai la testa sul materasso e appoggiai la fronte sul cuscino, lasciando che mi facesse tutto quello che voleva dentro di me. Non potevo muovermi, mi faceva male. Scappare era impossibile, senza senso.

Un brivido profondo mi scosse le viscere e quasi vomitai sul letto: me lo ero detto anche quella notte, quando ero scappata da Gilbert e Dominik mi aveva rinchiusa in quella camera delle torture insieme a lui. Fu come una specie di déjà-vu. Il dolore e lo strazio erano simili.

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