34 Il bene. Il male. E poi ci sono io✔️

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Michael mi fissava intensamente, immobile, rigido come la portiera di metallo della sua malridotta Alfa. Lo scossi piano. Era catatonico e per un momento pensai avesse sbattuto la testa e fosse entrato in qualche stato vegetativo, eppure la luce dei suoi occhi azzurri era presente e vivace. Aveva certamente sentito le mie parole.

«Ti prego, andiamo a casa insieme» lo implorai e gli strinsi una mano.

Passarono degli eterni secondi e poi i suoi occhi si incupirono. «Non posso. Sarebbe egoista da parte mia, non credi?»

«Non capisco» borbottai in difficoltà.

«Io non voglio che vai con Dominik» mi disse d'un fiato. «Non voglio che tu stai insieme a lui, nemmeno per un secondo se questo ti facesse stare male. Non voglio che lui ti tocchi con quel suo sguardo viscido. È stato molto patetico da parte nostra metterti in mezzo nella questione, in una così stupida ed insensata sfida. Credevo di poter vincere facilmente però, Dominik raramente avrebbe fatto una cosa del genere nei miei confronti.»

«Ti ha mandato fuori strada, vero?» domandai inviperita.

«Ho fatto la curva larga. Aveva spento i fari e mi ha tagliato la strada, non lo avevo visto e ho sterzato troppo violentemente» si accusò. «Sono stato uno stupido a credere...»

«No, sei stato uno stupido a metterti in mezzo e basta» lo accusai duramente.

Lui ammutolì e mi gettò un'occhiataccia. «Ora mi insulti? Cosa ti ho fatto?»

«Cosa mi hai fatto?» gli feci eco. «Tanto per cominciare sei qui, incastrato in un cazzo di sedile in una macchina spiaccicata contro una barra di cemento. Due, mi hai messa in palio come se fossi un comune oggetto da vincere e, tre, sei così stupido che non capisci. Dio, Michael, sei stupido e basta» mi affannai e le sue guance si tinsero di porpora. Aprì la bocca con stizza e io continuai: «Ma non l'ho detto come se fosse un insulto.»

Si masticò le parole e ne scelse altre. «No?»

«Offenderti non è mai stata una mia priorità, non almeno negli ultimi tempi.»

«Quindi cosa vorresti?»

«Vorrei che tu mi aiutassi a capire. Vorrei che tu la smettessi di pensare alla tua vita come se fosse uno dei tuoi videogame, perché questa è la realtà, anche se fa schifo. Se perdi e muori non hai un bonus, non hai il tasto reset a disposizione. Stacchi la corrente e basta. Be', io sono stufa di vederti trattarla come se fosse un giocattolino ribaltabile. Potevi morire, e nemmeno te ne rendi conto! Lo hai fatto per me e, dannazione come potrei non amarti per questo, ma pensa se fossi morto! Io cosa avrei fatto senza di te? Chi avrei abbracciato ogni notte? Chi mi avrebbe insegnato a suonare quel pianoforte così male?»

«Ho capito...» si lagnò.

«No, non hai capito niente.»

«Cosa c'è di tanto difficile da capire?»

«Non voglio che tu ti faccia male, ne morirei.» Provai ad accarezzargli il viso. Si sottrasse al mio tocco, ma con gli occhi cercò le mie mani quasi con colpa. «Voglio andare a casa con te.»

«Stai illudendo te stessa» mi aggredì furente. «Cosa credi? Che da un giorno all'altro mi metta a giocherellare a fare il fidanzatino rose e fiori, educato e simpatico? Sai bene come sono, me lo rinfacci continuamente. Per te sono solo un musone, lunatico e stupido, come potresti accontentarti di me? Se continuo a starti vicino finirei per farti male, lo sai anche tu» mi spronò con fiacchezza.

«E di quale parte di te credi che mi sia innamorata?» lo stuzzicai con le sopracciglia aggrottate. «Quasi per niente sei stato un ragazzo aperto e disponibile con me, ma quelle volte, lo giuro, è come se fossero valse per cento. Mi piaci esattamente come sei, con i tuoi sbalzi di umore continui, i tuoi strani riti d'ordine e l'odore che hai sulle dita ogni giorno dopo i laboratori di meccanica. Se non provi la stessa cosa per me è un altro discorso. Non voglio obbligarti. So che il prossimo anno sarai costretto a sposarti e... non credo di... avere possibilità...»

Bad BroWhere stories live. Discover now