25 La ruota della sfortuna✔️

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(Hotami Yamzaki)

Il Kransyy Kukla era il club più esclusivo e importante di tutta San Pietroburgo. L'aveva fondata Hotami Yamazaki in persona prima di decidere a cosa puntare nei suoi affari, per poi ritrovarsi a dirigere un pub pieno di ragazzi con crisi ormonali. In quel momento era gestito da Ai Lan, la collaboratrice scelta personalmente da Yamazaki e Gilbert per tenere in piedi il locale e la copertura.

Gilbert si staccò da noi quasi subito dopo essere entrati, lasciandomi con i gemelli in balia di quella calca anonima di gente che saltava a ritmo della musica di un dj finlandese per andare a contrattare qualche suo losco affare.

L'atmosfera dentro il Kransyy Kukla era calda, quasi opprimente. Quel giorno, le decorazioni del locale erano in sintonia con il mio stato d'animo. Le pareti erano rosse con decorazioni oro e nere in stile art déco molto sobrie ed accurate, contrastavano con l'arredamento bianco, quasi asettico e privo di ogni colore. I tavolini e il vetro del bancone erano satinati e riflettevano le luci che una sfera brillante lanciava ovunque, blu, rosse e verdi. Il pavimento e il soffitto parevano essere fatti di vari specchi rotti e poi ricomposti, delle lanterne pendevano con una fioca luce dentro. Le poltroncine e i divanetti erano in pelle bianca con bottoni scuri. Ogni sala era decorata con uno stile diverso, unico. Il pub era un misto tra antico e moderno che si immergeva completamente in un contrasto tra Russia e Cina. Forse era proprio per quello che Yamazaki non si era disfatto di quel locale, per dare una bella immagine agli occhi estranei ed inesperti.

Michael fu il primo che, stufo, mi acchiappò per l'orlo della pelliccia e mi trascinò sopra ad una scalinata vicino al bancone bar. Dominik, intento a fare una telefonata privata, si perse.

C'erano unicamente tre piani al Kransyy Kukla, il primo era la sala da ballo, il secondo era l'ala vip, in poche parole quella riservata ai Yamazaki e ai Petronovik, oltre ad altre poche celebrità. Michael e io lasciammo Dominik ad una importante telefonata e lo precedemmo nella saletta vip, entrando in una stanzetta di modeste dimensioni che ospitava un divano a L bianca, un tavolinetto e un angolo bar fornito di tutto. La parete che si affacciava sulla pista era trasparente o oscurata.

«Hai freddo?» mi chiese Michael.

Scossi la testa e gli lasciai sfilarmi la pelliccia di dosso come se fossi una diva. Non avevo freddo, era impossibile là dentro, ma era l'ansia a farmi raffreddare le budella. Mi sedetti sul divanetto e incrociai le gambe, sperando che il vestito non salisse più del dovuto.

Michael si sedette vicino a me, inclinò la testa e mi annusò i capelli. «Mh. Non hai ancora smesso di usare il mio shampoo» notò.

«Ti da fastidio?» farfugliai.

«No, non direi. Mi piace.»

Dominik rientrò con una faccia contratta e, appena ci vide, non migliorò. «Ma dove sono quei due idioti dei Yamazaki?» ringhiò inviperito. «Sono in ritardo.»

«Anche noi lo siamo» buttò lì Michael, distratto.

Dominik gli fece una smorfia e saltò sul divano, sprofondando. Incrociò le braccia e restò a fissare il fratello seduto vicino a me, circospetto. Provai ad intrattenere una conversazione con Michael per distrarmi dai suo occhi, ma non mi riuscii facile. Per prima cosa mi sentivo con difficoltà con Dominik all'altro lato e per secondo mi imbarazzavano troppo il vestito e i pensieri che Michael ci avrebbe fatto. Provai così ad allentare le spalline e a strizzare il tessuto davanti, in modo da coprirmi il seno senza reggiseno.

Dio, era così imbarazzante.

«Così si romperanno i fili» mi disse Michael, leggermente stizzito.

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