36 Il patto con il diavolo✔️

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Ricordavo come se avessi fotografato il volto di Vìktor, quel volto scolorito, le guance leggermente scavate dal freddo e dalla fame, le labbra rosse, tanto colorate da dare scompiglio e quei suoi occhi ambrati, pieni di speranza. Le dita gli tremavano e aveva un tic nervoso alla gamba destra. Era infagottato nel suo solito poncho nero e grigio sfilacciato, piegato rigido contro il vento. Doveva aver rimediato da qualche parte un berretto con due pon pon, i ricci castani sbucavano fuori dal loro riparo alla ricerca d'aria.

Per un momento non mi capacitai fosse lui, ma solo perché, in tutto quel tempo, lo avevo rimosso dalla testa. Pensavo che Dominik lo avesse cacciato da qualche parte, se non addirittura ucciso o finito in carcere, invece i miei pensieri si indirizzarono immediatamente su di lui e mi affiorarono le lacrime. Era per il senso di colpa di averlo lasciato in balia degli uomini del mio fratellastro, senza più preoccuparmi una volta terminata la mia incarcerazione. Lo avevo lasciato indietro come i miei ricordi e ora, come quelli, era tornato per me.

«Vìktor?» chiamai piano, per assicurarmi fosse lui. Non mi sentì, così mi avvicinai. La pioggia batteva insistente con le sue gocce sottili la mia testa. «Sei Vìktor, vero?» riprovai.

Al secondo tentativo il ragazzo scattò all'erta e i suoi occhi incrociarono timorosi i miei. Smise di battere il piede contro il metallo e mi fissò, come se avesse appena intravisto uno spettro. Era logico, pensava che fossi morta, come io di lui. L'ultima volta che mi aveva vista era stato quando mi avevano trascinata in una macchina, praticamente rapita sotto i suoi occhi.

Saltò giù dalla panchina senza perdermi di vista. Boccheggiò qualche parola e si guardò intorno con aria apprensiva.

«Tu sei la tizia del parco!» esclamò stupito, mettendosi le dita congelate nelle tasche dei pantaloni.

«Chanel» gli ricordai.

«Me lo ricordavo» mi informò con un sorriso tranquillo. «Non ti vedevo da...» Supposi si fosse fermato per non ricordare l'accaduto, infatti disse: «mesi», alzando le spalle per far scivolare via una dura emozione rimasta. Pensai di parlare per scusarmi, ma non trovai il coraggio. Lui continuò: «Pensavo fossi partita.»

«Volevo» ammisi triste. «Ma alcune cose mi hanno fatta restare qui.»

Lui si accigliò e si grattò la nuca nervoso. Le ciglia brune si appesantirono di gocce piovane. «Capisco. Mi sono davvero preoccupato quando è successo... be', lo sai. E non ti ho vista più in giro. Io pensavo che ti avessero portato via da qualche parte. Mi avevi detto che aveva a che fare con la tua famiglia e...»

«Sono stati loro, in effetti» risposi. «Ti avevo detto che avevo una famiglia particolare.»

«Non sai quanto» mormorò. «Mi fa piacere vederti. Viva e vegeta, intendo. Da dove arrivi?»

Pensai se fosse stato il caso di dirgli la verità oppure no. Glielo dovevo.

Un tuono rimbombò lontano nel cielo e delle nubi lontane si illuminarono.

«Dall'ospedale» dissi. «Il mio ragazzo ha avuto un incidente a scuola e si è lussato una spalla per colpa di uno sforzo.»

«Cosa?» ripeté, tirando su il moccio dal naso. «Spero non sia niente di grave.»

«No, fortunatamente è tutto a posto. Niente che non possa superare» replicai arrossendo.

Mi ero rivolta a Michael definendolo per la prima volta il mio fidanzato. Per me fu meglio non accennare al nome della mia famiglia, tanto meno ai miei fratellastri. Non sapevo se li conoscesse o meno, ma Dominik sapeva della sua esistenza ed era meglio non farli incrociare. Vìktor era ancora un suo nemico.

Bad BroWhere stories live. Discover now