37 Strade dissestate✔️

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Fissavo il mio piatto senza osare toccarlo. Lo spezzatino di carne di Breatha aveva un ottimo profumo, le spezie sopra il leggero velo di sugo erano aromatiche e sembravano squisite. Infilzavo la carne con un dente della forchetta e stringevo le gambe.

Breatha, insieme a Valerija, stava lavando i piatti.

«Chanel» mi chiamò «hai finito la cena?»

«Certo, ecco, scusa...» borbottai in difficoltà.

Presi il piatto e glielo porsi. Breatha tolse le mani dal lavello, pronta a ricevere un piatto vuoto. Restò immobile a fissarmi con uno sguardo di rimprovero sul volto. Lo detestavo quando lo faceva per farmi sentire in difetto, era la sua arma numero uno. Mia madre non mi aveva mai costretta a mangiare oltre le mie pretese, le bastava un "non ho fame" o un "ho già mangiato" a farle scrollare le spalle e darmi fiducia. Credo che non si trattasse di vera fiducia, tanto quanto di un atto di mia responsabilità. Non poteva dirmi lei quando mangiare.

Breatha sì, credeva di avere questa autorità e almeno due volte al giorno si assicurava che mangiassi un pasto completo e sostanzioso.

«Chanel, ne vogliamo riparlare?» mi rimproverò.

Le porsi ancora il piatto, innervosita, ma lei non si degnò di cambiare versione. Valerija notò il mio sguardo scuro e per buoni motivi riprese di mettere via delle tazze nella credenza, ignorandomi e meritando il suo stipendio. Non avevo la stessa autorità di Gilbert, tuttavia sapevo che ogni servetto mi considerava alla pari dei gemelli. Se io chiedevo, doveva essere fatto.

Da una parte l'atteggiamento di Breatha mi aveva impedito di crollare molte volte e di lasciarmi andare, altre mi ricordava solamente la madre che avevo perso e che non avrei più avuto. Pensare a me stessa, regolarmi nei pasti, nei bisogni e nelle necessità furono i primi veri gesti di emancipazioni che ebbi passata nel mondo adulto.

«No, non ho fame e basta. Ho mangiato troppo all'ospedale e sono piena» rettificai con poca voglia e un mal di testa martellante.

Breatha fece per parlare e Valerija le tirò un orlo del grembiule. Credette di farlo di nascosto, ma la donna con i ricci si girò e l'ammonì duramente. Breatha scosse la testa e si pulì le mani piene di sapone e acqua sulla divisa, facendomi dopo una piccola carezza.

«Chanel, so che sei preoccupata per la salute di Michael, ma saltare la cena non...»

Gilbert passò oltre la porta della cucina. La sua ombra scura e mogia venne riflessa per pura fortuna nel vetro della credenza e la macchia rossa dei suoi capelli mi infiammò il petto. Spinsi il piatto pieno di cibo nelle mani della donna e corsi dietro a Gilbert, dicendo che avrei mangiato qualcosa più tardi.

Girai l'angolo e gli corsi dietro, fermandolo proprio sull'uscio del suo studio.

«Non corrermi dietro come un cane. Ne ho già uno» mi riprese stancamente.

La solita cattiveria che aleggiava in ogni sua parola contro di me in quel momento era scomparsa, o magari era troppo debole per essere avvertita. L'uomo si girò e mi squadrò i piedi.

«Ti ho già detto di non andare in giro per casa con quei sporchi calzini. Lasci le impronte!» gracchiò e si strofinò una mano sulla faccia, scompigliandosi i capelli già ribelli. «Be'? Che vuoi?»

«Dov'è Michael?» domandai con la faccia rossa, come se non avesse capito. Lui mi guardò immobile, quasi assonnato. «Ti ho chiesto dov'è. Non lo avrai lasciato all'ospedale da solo?» mi preoccupai.

Gilbert roteò gli occhi. «No, non è una regina. Lo hanno dimesso con il consenso dei medici» mi informò con impazienza.

«Dammi il foglio. Tiralo fuori!» feci autoritaria.

Bad BroWhere stories live. Discover now