33 La parte cattiva✔️

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Corsi fuori dalla mensa, oltre le scale della sezione A. Mi sforzai di ricordarmi le parole di Michael sulla lezione e la posizione dell'aula di Meccanica in cui si svolgevano di consuetudine le sue lezioni. Ero certa che me ne avesse parlato, ricordavo il suo progetto e gli appunti del professore, le sue parole annoiate nel progettare un nuovo Motore Bourke, le sue note disordinate sugli O-ring e sulla fluidodinamica.

Sapevo che i laboratori, per motivi di spazio e sicurezza, erano tutti al primo piano. Mi diressi a ovest, verso la sala macchine e seguii agitata la nomenclatura delle aule, sperando di trovare quello che mi interessava. I laboratori non avevano numeri, ma lettere.

«Michael! Michael!» urlai forte, guardando ovunque, entrando con la testa nelle classi aperte per verificare che ci fosse qualcuno.

Alcuni ragazzi si affacciarono da un'altra aula, incuriositi da quel nuovo frastuono che stavo producendo. Tutte le aule all'ora di pranzo si svuotavano completamente e la mensa e il corridoio principale vicino alle macchinette automatiche diventavano un nuovo punto di ritrovo, alcuni uscivano dal cortile per fumare nella pausa concessa. I laboratori ad ogni ora erano rumorosi: c'erano oggetti che venivano sbattuti sopra altri, seghe, torchi o motori in movimento, ma nulla era paragonabile ai miei stilli nervosi. Quello che più attiro l'attenzione fu la mia disperazione.

Entrai con passo pesante nell'aula da cui ne uscirono due ragazzi con il camice da lavoro sporco di olio di motore. Non ero mai entrata in un laboratorio di meccanica prima di allora, gli studenti del liceo come me non avevano l'accesso e l'autorizzazione e per un momento le forti luci a neon pendenti come pendagli dal soffitto mi accecarono. Era una piccola sala, forse metà della palestra scolastica, e in quell'ambiente tutto odorava di olio di motore, acciaio e gomma. C'erano tre file di piccoli banchi vicino alla porta e una lavagna interamente occupata dal disegno di un motore volumetrico, al di sotto una piccola emoji dalla faccia disperata. La restante porzione di laboratorio era ingombra di macchinari, attrezzi e pezzi di metallo sparsi per il pavimento come un campo minato.

Mi tirai indietro i capelli come un'ossessa e chiamai Michael a gran voce, più volte. Lui rotolò da sotto uno strano macchinario sopra uno skateboard arancio con uno sguardo meravigliato. Due suoi compagni di corso, acquattati vicino a lui per quella lezione pratica, distolsero la loro attenzione da Michael e dal progetto per dedicarla a me.

Si tolse i guanti da lavoro e cercò di alzarsi. Non aveva più addosso la divisa regolamentare, ma una tuta blu elettrico attorcigliata alla vita. Disse due parole ai suoi amici e poi mi venne incontro leggermente allarmato. Aveva una macchia di sporco sul naso.

«Che succede? Ti senti poco bene?» mi domandò irrequieto.

«No, lasciami perdere! Sta per...»

Dominik mi diede uno spintone, facendomi cadere all'indietro con le gambe all'aria. Michael corrugò la fronte e se la pulì con una manata agitata, aprendo la bocca in sconcerto. I due ragazzi dietro di lui afferrarono delle chiavi di ferro, pronti a difendersi. Feci per parlare loro, urlargli di mettere giù quelle armi prima di far del male ai miei fratellastri, quando Dominik deambulò in avanti, sicuro di sé. Tese la mano, come se volesse passare un braccio attorno alle spalle del fratello e abbracciarlo, ma nello stesso momento piegò le gambe e gli diede un pugno. Colpì Michael sulla gota e lui ruotò, cadendo all'indietro per il colpo ricevuto.

«Fermo! Ma che fai?» strillai forte.

Michael si tirò su a sedere e sbatté gli occhi più volte, quasi credendo di essere inciampato per errore, poi si tastò la guancia e una fitta improvvisa gli scosse il capo. Guardò suo fratello con occhi profondi, colpevoli e vacui, mentre Dominik gli dedicò un'occhiata lunga e fissa. Quello era lo sguardo di Dominik che di solito rivolgeva a me, un qualcosa di duro, ripugnante e viziato. Ora lo stava dedicando al fratello, il quale sentii stava bruciando di collera e vergogna dentro di sé.

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