Capitolo 1

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La mia storia non comincia affatto come tutte le altre, la mia storia non è storia che sentirete tutti i giorni. Sono vissuta da sempre in un cantuccio di quello che la vita dovrebbe essere, non vivi per davvero fino a quando non sei vicino alla morte. Quando sei vicina al pericolo ti senti viva come non mai. Per quanto essere vivi abbia i suoi lati positivi, io avrei preferito rimanere una morta nel luogo dove mi trovavo prima, che in quello dove mi trovo ora. 


"Forza." sussurro a me stessa mentre mi fermo davanti al cancello di quella che dovrebbe essere la mia scuola. Poche altre cose al mondo sono fuorvianti come dover cambiare scuola proprio al quarto anno di liceo, non che io abbia mai goduto di un'ampia cerchia di amici, ma essendo sempre stata una ragazza con notevoli difficoltà di socializzazioni, mi ritrovo in un bozzolo pseudo protettivo ce funge da prigione. Non che il posto che mi ritrovo davanti non ne abbia l'aria. La Douglas Hight School è un ammasso di rocce accatastate una sull'altra nel vano tentativo di costituire un edificio, i cancelli che separano il malandato cortile dall'altrettanto malandata strada sono arrugginiti e stridono ogni talvolta che il vento li sposta. L'erbaccia ricopre ogni singola cosa, dalle scale diroccate, ai muretti; gli alberi pare abbiano perso la linfa, e tutto ha un'aria così morta che sento un groppo stringermi la gola quasi a volermi uccidere.

Cerco di non ricordare a me stessa il motivo per cui mi trovo qui. La ragione per cui i miei genitori mi hanno imballata come un pacco e lanciata il più lontano possibile dalla loro vita. Perché a quel punto diverrei sempre più cosciente del fatto che mi merito questo posto, che ha tutta l'aria di essere un inferno, ma non sono sicura che sia proprio così. Ho trascorso gli ultimi tempi auto-convincendomi di essere il demonio, eppure qui mi trovo stranamente fuori luogo. Nonostante l'aspetto trasandato e dimenticato da Dio, il cortile è gremito di studenti.
Decido che la cosa migliore da fare è muovere i piedi e smettere di starmene impalata come una statua all'ingresso. Devo prendere coraggio e varcare questa soglia; purtroppo entrare all'inferno è più semplice che uscirne. Mentre sfilo per i corridoi di gente per poter arrivare all'ingresso, questa non si risparmia occhiatine, risatine, parole, sguardi cupi, sguardi curiosi: qualcosa di cui sparlare. Se non mi sentissi come se mi fossi appena svegliata con un secchio di acqua gelata addosso, forse avrei la forza di piangere. La prima, e forse stupidissima idea, che mi balza alla mente, è quella di trovare un bagno e trovare rifugio lì, anche se in realtà potrei usare il tempo in modo molto più proficuo, come sfruttare il vantaggio per capire dove sono le mie classi. Con grande sorpresa trovo molto facilmente il bagno delle femmine e mi ci rifugio dentro, ringraziando che sia deserto. Come tutto il resto anche qui tutto cade a pezzi. Mi chiudo in uno dei gabinetti e porto le gambe al petto prendendo dei lunghi respiri. L'unica soluzione che riesco a trovare a tutto questo è quella di andare avanti facendo poche storie. Sono solo due anni poi potrò tornare a casa, o magari no. Potrei fare quello che voglio una volta finito il liceo. In più non sono costretta ad interagire con nessuno se non per un minimo indispensabile. La gente si abituerà a me ed io a questo posto, lo studio mi terrà occupata ed il tempo volerà. 

Sento dei passi affrettarsi verso il mio gabinetto e poi una mano battere sul legno pieno di scritte. "Ehi, rossa, lo so che sei là dentro, apri, questo è il mio cesso personale." è una voce acuta parlare. Abbassando gli occhi alla fessura in basso e riesco a vedere i tacchi neri, profondamente gotici, della ragazza che deve starmi ordinando di uscire dal suo 'gabinetto personale'. Mi assale un certo timore, ma è momentaneo. La parte seguente di ciò che provo è un leggero fastidio. Decido di attenermi alla mia regola di non dare conto a nessuno.
"Mi hai sentita?" chiede di nuovo battendo la mano. Allungo la mia e giro la chiave, tradendo il lungo processo di pensieri che mi ha portata a tacere. 

La porta si spalanca rivelando una ragazza dai capelli neri, occhi altrettanto neri, truccati di nero, vestiti neri. Mi guarda e l'accenno di un sorriso le dipinge il viso.
"Povero angelo." è un ghigno, non un sorriso. La quantità di disagio che provo aumenta quando entra nel bagno e chiude la porta alle spalle. Ed assieme al disagio accresce la paura. 
"Hai dei bei capelli." mi dice poi, con un piccolo cenno della testa. 
Non riesco a rispondere, non perché non voglia, ma perché sono terrorizzata dalla sua presenza in questo spazio fin troppo piccolo anche per un persona sola. 

SheolWhere stories live. Discover now