1 - Parcheggio privato

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Me lo immaginai meno pesante, il viaggio. Il mio libro preferito non seppe per niente alleggerire il volo, poiché dopo aver letto quasi metà del romanzo mi venne sonno. Dormii per circa un paio d'ore, mi svegliai e poi fu difficile riaddormentarmi. Anche ascoltare la musica non seppe distrarmi dal viaggio e non riuscivo a credere che avrei dovuto ripetere quelle ore così pesanti anche per ritornare a casa. Pensai che sarebbe dovuto passare un anno prima di affrontare il prossimo volo, così mi tranquillizzai. Non durò per molto, però, quell'attimo di tranquillità.

Quando atterrai a Londra tirai un sospiro di sollievo, ma dopo un paio di secondi mi feci riprendere dall'ansia.

Dopo aver sceso le scale in ferro che collegavano l'aereo al suolo, avanzai con il mio borsone verso la navetta che, successivamente, mi portò ad un entrata dell'aeroporto. Prima di raggiungere mio padre e Caroline, dovetti cercare ed afferrare la mia valigia color caramello e passare attraverso le porte scorrevoli. Già mi mancava casa mia. Mi straniva sentire tutta quella gente parlare l'inglese con l'accento diverso dal mio, ma pensai che prima o poi ci avrei fatto l'abitudine.

L'agitazione in me cresceva a dismisura e avevo paura di non riuscire più a controllarla. Temevo di svenire o di vomitare. A momenti avrei rivisto mio padre dopo due anni e la sua compagna Caroline insieme a lui. Quando sbucai dalle porte scorrevoli e vidi tanta gente ammassata ad aspettare amici o parenti, cercai con gli occhi quei due, ma non riuscii a trovarli subito.

-Ellie! Ellie! Siamo qui!- sentii all'improvviso una voce maschile chiamarmi intuendo che si trattasse di mio papà. Mi voltai in diverse direzioni, ma solo dopo qualche attimo scorsi in mezzo alla folla quel viso che mi pareva tanto familiare: occhi scuri e piccoli, baffi bruni e labbra sottili. Accanto a lui stava una donna castana, ben vestita e dall'aria dolce. Il suo sorriso serrato e le fossette vicino agli angoli della bocca mi esprimevano gentilezza e sicurezza. Quella donna era Caroline, la tanto temuta compagna di papà. Per un attimo pensai di essermi sbagliata sul suo conto, ma non cambiai definitivamente l'idea iniziale che avevo di lei. Un sorriso non ha mai determinato il carattere di una persona, giusto?

Li raggiunsi a passo calmo e deciso, senza fretta. Di certo non avevo voglia di saltar loro in braccio, ma cercai comunque di non mostrarmi troppo fredda. Trovavo un po' seccante rivedere un papà che solo dopo due anni si ricordò di avere una figlia in Canada.

- Ciao papà - salutai l'uomo abbracciandolo, ma fu lui quello a stringere di più le braccia.

- Ciao tesoro, ben arrivata - mi ricambiò lui dandomi il benvenuto e, dalla voce, sembrava anche abbastanza commosso, oltre che contento di vedermi.

- Ciao cara, sono felice di conoscerti, finalmente - mi disse Caroline non appena mi sciolsi dall'abbraccio con papà e le strinsi la mano che mi porse sotto il naso.

- Anche io - risposi sorridendole, ma in realtà non ero poi così entusiasta.

- Io sono Caroline - pronunciò la donna il suo nome, poi staccò la mano dalla mia.

- Eleanor - mi presentai.

- Tua figlia è davvero molto bella, dal vivo è ancora meglio che in foto - Caroline fece i complimenti a mio padre prendendolo sottobraccio e fissando il suo volto, poi riprese a guardare me, che rimasi senza parole per quelle lusinghe.

- Assomiglia molto a Lauren - disse mio padre sorridendomi, ma io non lo ricambiai.

Non rimanemmo molto in quel punto a soffermarci in chiacchiere, per fortuna, così ci avviammo insieme verso l'uscita e, successivamente, ai parcheggi. L'auto non era lontana e ciò fu un bene, dato che non avevo per niente voglia di cercare il veicolo a lungo.

Baciata dalla lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora