18 - Prove d'amore

248 10 5
                                    

Mi vestii con ansia mentre allo specchio vedevo la mia figura muoversi impacciata. Le dita mi tremavano troppo perché io riuscissi a chiudere il bottone dei jeans e un po' mi veniva da ridere. A momenti avrei rivisto Valentin, finalmente.
Ma Caroline e papà non lo sapevano, ecco perché ero così elettrizzata e nervosa.
- Ellie, quando tornerai a casa? - mi chiese mio padre da dietro la porta della mia stanza.
- Ehm, dopo cena! Alex mi ha chiesto di rimanere là dopo aver fatto i compiti, ordineremo una pizza - mentii, il cemento nel petto dato dal senso di colpa. Non dicevo spesso bugie ai miei genitori, ma in quel periodo cominciai a farlo un po' troppo spesso. Non ci ero abituata, ma ero già sulla retta via per cacciarmi in altri guai.
- Okay, ma non più tardi, chiaro? In teoria non dovresti neanche uscire...
- Papà, allora perché me lo permetti? - lo provocai, ma subito dopo avrei voluto mordermi la lingua perché avevo paura che lui potesse fregarmi.
- Sai, hai ragione, dovrei chiuderti in casa - disse mio padre con tono serio, ma io ribattei immediatamente.
- Ormai esco, devo studiare con Alex! E poi non è educato dare buca all'ultimo minuto.
- Stavo scherzando - ammise papà e gli scappò da ridere. Sentii il rumore dei suoi passi allontanarsi e tirai un sospiro di sollievo.
Lui aveva creduto ad ogni mia parola. Il fatto che si fidasse ancora di me andava a mio vantaggio, ecco perché potei anche vedere Alex e Jo qualche giorno prima, da Starbucks.
Tornai anche in orario. Rispettavo le condizioni e allo stesso tempo riuscivo ad ingannare Caroline e mio padre. Il lato buono di me mi faceva sentire in colpa, ma il desiderio di evadere e di rivedere Valentin batteva qualsiasi altra cosa.
Mi infilai nel mio cappotto, afferrai la borsa e scesi di corsa le scale. Salutai di fretta papà e Caroline, poi uscii di casa e mi avviai a piedi verso la fermata del pullman più vicina. Stava a pochi isolati da lì, ma in realtà non avrei dovuto prendere nessun mezzo: lì mi aspettava Valentin, pronto a prendermi e a portarmi a casa sua in macchina. Quel pomeriggio avrei conosciuto sua madre e suo fratello, ero emozionatissima.
Quando svoltai l'ultimo angolo a destra, mi ritrovai nella via della pensilina e la macchina blu di Valentin era parcheggiata là accanto. Lui, invece, stava in piedi, poggiato alla portiera ammaccata mentre fumava una sigaretta, sicuramente non la prima del giorno.
Accelerai il passo quando stavano pochi metri a dividerci, poi allargai le braccia e le allacciai dietro il suo collo. Valentin, con una mano, mi avvolse la schiena, mentre con l'altro tenne la sigaretta lontana da me.
- Val!
Gli baciai le labbra per tre secondi buoni e feci una smorfia per via del sapore di fumo.
- Possibile che sei sempre a fumare? -lo criticai.
- Ciao anche a te, tesoro - mi rispose lui ironicamente facendomi sorridere.
Salimmo in macchina e, poco prima di partire, Valentin aspirò per l'ultima volta e gettò il mozzicone dal finestrino.
Non fu molto lunga, la strada. Non appena arrivammo nel cortile, i miei nervi parvero abbandonarmi per l'agitazione. Di fronte a me stava la casa di Valentin e non potevo sentirmi più felice. Presto, un altro pezzo di lui avrebbe cominciato a far parte della mia vita.
Subito scesa dalla macchina, Valentin mi raggiunse e mi prese per mano. I suoi occhi verdi incontrarono i miei blu.
- Sei pronta per conoscere altri Virtanen? - mi chiese lui, emozionato quanto me.
- Certo - risposi con convinzione e gli sorrisi. Valentin mi stampò un bacio, poi mi accompagnò alla porta d'ingresso. Quando l'aprì, un salone dalle dimensioni modeste mi si presentò davanti. Le pareti erano bianche, la moquette marrone. I mobili erano antichi, ma tenuti abbastanza bene.
- E' permesso? - domandai non appena varcai la soglia.
- Entra pure, cara - sentii una voce femminile rispondermi da un'altra stanza, presumibilmente la cucina. Non distava molto dall'ingresso e sentii odore di verdure bollite provenire da poco lontano.
- Oh, come immaginavo, sta già preparando qualcosa - disse Valentin scuotendo la testa riferendosi a sua madre. Pochi istanti dopo la vidi passare da una piccola arcata che divideva il salotto dalla cucina. Una donna minuta, paffutella e dai capelli tinti di nero, raccolti con una molletta in modo scomposto, mi accolse con il sorriso e mi strinse la mano.
- Ciao, io sono Anneli - si presentò la signora.
- Eleanor - dissi il mio nome e guardai la mamma di Valentin con dolcezza. Mi trasmetteva serenità e allegria, cosa un po' insolita per una donna che teneva ricordi orribili nella sua mente, ma forse era proprio per questo che preferiva non conservare un'aria triste sul suo volto.
Dimenticare, ecco cosa voleva fare.
- Sapevo già che sei bella, ma non così tanto - si complimentò con me Anneli ed io mi sentii lusingata.
- Le ho sempre scelte bene, le ragazze - si vantò Valentin e io gli mollai una sberla sul braccio.
- Già, se non si truccano come bambole non le guardi nemmeno - commentò un ragazzo biondo che, ascoltandoci dal piano di sopra, scese le scale per raggiungerci. Intuii fosse Joel, ma non somigliava molto a Valentin. Non appena mi guardò spalancò gli occhi ed io mi sentii leggermente in imbarazzo.
- Ellie, lui è Joel, mio fratello - dovetti ricredermi quando Valentin me lo presentò, perché pur essendo fratelli erano così diversi...
- Oh, ehm... sai, non è proprio vero quello che ho detto - cambiò opinione il ragazzo cercando di rimediare alla brutta figura. - Comunque piacere, Joel - mi allungò una mano e strinse la mia.
- Piacere mio - ricambiai e risi. L'aria impacciata, tenera e spensierata di Joel mi fece subito simpatia.
- Non ha il mascherone in faccia, ma è gnocca da paura - bisbigliò lui all'orecchio del fratello ammiccando, ma Valentin non apprezzò e gli diede uno spintone.
- Sta' zitto, torna di sopra - gli mormorò a denti stretti, imbarazzato, e Joel corse via ridendo.
Chissà che aspetto avevano le ragazze che, prima di me, Valentin portò in casa. Non riuscivo ad immaginarle come ragazze per bene, ma poi mi venne in mente Gwen.
Sì, era anche di lei che Joel parlava. Gwen si truccava molto, ma era una così bella persona anche dentro!
- Non farci caso, sono uno più pazzo dell'altro - parlò Anneli dei suoi figli e mi fece ridere.
- Oh, che Valentin è particolare l'ho saputo sin da subito!
- Cosa vorresti dire? - mi chiese il mio ragazzo guardandomi con le sopracciglia aggrottate.
- Bé, lo sanno tutti che non sei tanto normale - lo presi in giro e lui avvicinò il viso al mio.
- Meglio non prendere per i fondelli il sottoscritto.
- Altrimenti? - lo provocai soffocando una risata.
- Altrimenti ti becchi questo - mi minacciò lui teatralmente e mi fece il solletico facendomi sobbalzare per un attimo.
- No, okay, non lo farò più - mi arresi e mi sistemai i capelli dietro le orecchie.
- Che belli che siete - ci guardò Anneli, intenerita. - Bé, fate quello che volete: guardate un film in salone o andate di sopra a fare qualcosa al PC, io nel frattempo continuo a preparare la cena.
- Credo proprio che suonerò qualcosa - decise Valentin prendendomi per mano e portandomi verso le scale.
- Ancora? Ehi, non suonare tre ore di fila come ieri, che i vicini sono venuti a lamentarsi! - lo rimproverò la mamma dalla cucina.
- Suono l'acustica, oggi niente chitarra elettrica - l'avvertì Valentin a voce alta, in modo che la signora potesse sentirlo.
Salimmo le scale, ancora mano nella mano, poi ci ritrovammo in un corridoio abbastanza lungo sul quale si affacciavano quattro porte: una alla nostra sinistra, due di fronte a noi e una a destra. Intuii fossero le camere da letto e il bagno. Una delle due che stavano sulla parete davanti a noi era aperta e dava una visuale ristretta della stanza di Joel, poiché vidi lui all'interno, concentrato a vincere una partita di chissà quale videogame al computer.
- Quella è la camera di mamma - Valentin mi indicò la stanza a sinistra, dalla quale riuscii a scorgere un grande comò e metà letto.
- Questa è camera mia! - esultò Joel sentendo parlare il fratello e alzò una mano per farsi vedere, ma Valentin lo ignorò. Io invece mi misi a ridere.
- E questa è mia - annunciò il mio ragazzo accompagnandomi alla porta accanto, chiusa e con un cartello con scritto FUCK OFF.
- Uh, che bell'invito che dai ai tuoi ospiti prima di entrare - ironizzai quando lessi l'insegna rotonda che, da quel che sembrava, Valentin improvvisò con le sue stesse mani.
- E' riferito a chiunque abbia l'intenzione di entrare senza il mio consenso, è chiaro - mi disse lui e mi sorrise. - Ma tu sei la benvenuta, quindi tranquilla, non vale per te - mi ammiccò.
- Sdolcinato! - commentò Joel dall'altra stanza, ancora impegnato con il suo gioco.
- Chiudi la bocca, idiota! - rispose Valentin ed io scoppiai a ridere.
- Vi volete proprio bene voi due, eh? - osservai.
- Più di quel che immagini - mi disse il fratello maggiore abbozzando un sorriso.
Quando entrai nella camera di Valentin, la prima cosa che notai fu il grande disordine che regnava tra i mobili: c'erano vestiti sparsi ovunque, confezioni di cibo aperte e vuote qua e là, alte pile di CD ammassate in un angolo della stanza...
Quella confusione mi fece strabuzzare gli occhi.
- Oh, ehm, non fare caso a tutta questa baraonda.
- Troppo tardi, Virtanen - lo schernii mentre rimanevo ancora incredula di quanto caos ci fosse là dentro.
Valentin chiuse la porta dietro di sé ed io continuai a guardarmi attorno. Non appena il mio sguardo catturò la collezione di chitarre esposta sul lato destro della stanza, i miei occhi s'illuminarono. Poco lì vicino c'era pure una pianola.
A sinistra, invece, stavano la libreria e la scrivania. Su quest'ultima c'era il computer, fogli volanti e tante cianfrusaglie non identificate.
In fondo, di fronte a noi, stavano un piccolo armadio e il letto ad una piazza e mezza, ricoperto da una trapunta bordeaux e alcuni vestiti stropicciati; accanto al letto c'era un mobiletto in legno a due cassetti e sopra erano adagiati una piccola lampada e due libri.
Mi andai a sedere alla fine del materasso e mi tolsi il giubbotto.
- Te la immaginavi così? - mi chiese Valentin sedendosi accanto a me. Anche lui si liberò dalla lunga giacca.
- Ad essere sincera no, ma ora che ci penso non è poi così strano che tu non abbia una camera in ordine - confessai.
- Perché dici questo?
- Bé, tutto questo caos rappresenta quello che tu hai dentro, secondo me - gli spiegai con convinzione e lui mi guardò dolcemente, come se mi avesse voluto far intuire di averci visto bene. Adoravo saper capire il mio ragazzo e dimostrarglielo.
Sentii le guance avvampare e Valentin mi baciò poggiando le sue mani sulle mie guance. Il tocco dei suoi polpastrelli era delicato, come la maggior parte delle volte, ed io mi sentivo sciogliere il cuore quando lui sfiorava la mia pelle. Sempre.
Rimanemmo fronte contro fronte non appena il bacio terminò.
- Tua madre non ce l'ha con te per la nostra fuga e per il fatto che non verrai ammesso agli esami? - chiesi, un po' stranita. Trovai piuttosto insolito essere accolta da una donna allegra, piuttosto che da una signora fredda e distaccata.
- Ovviamente è delusa, ma ormai è abituata alle mie bravate - mi rispose Valentin facendo spallucce, ma gli lessi negli occhi che gli dispiaceva avere il ruolo della pecora nera della famiglia.
- Non dovevi trasgredire così tanto, dovevi mettere la testa a posto per il tuo ultimo anno - gli dissi, ma lui rimase in silenzio e abbassò il capo. - E Joel? Che tipo è? - domandai, così avrei dato un piega diversa al discorso.
- Lui è più forte di me, è un tipo molto controllato e riflessivo - dichiarò il finnico. - Su questo siamo molto diversi, ma non significa che lui non soffra.
- Posso immaginare - dissi scuotendo la testa su e giù.
Ci furono circa tre secondi di silenzio tra noi, ma poi Valentin aprì bocca.
- Anch'io ho una cosa da chiederti - mi annunciò lui con tono calmo e le nostre fronti si liberarono dal loro contatto.
- Sentiamo.
- Se tuo padre, invece, si è molto arrabbiato per il fatto che siamo scappati da scuola, perché ti da il permesso di uscire?
A quella domanda risi. In effetti non era proprio il comportamento che mi aspettai da parte di papà, ma fu un bene che non mi chiuse in casa per punizione.
- Penso che si fidi ancora di me - risposi. - In realtà crede che io sia da Alex a studiare.
- Non ti facevo così furba, Ellie - mi schernì Valentin portandosi una mano sotto il mento e mi guardò con due occhi ridotti a sottili fessure. Io gli mollai un colpo sul braccio ed entrambi scoppiammo a ridere.
- Ehi, cosa vorresti dire? - reagii, ma Valentin mi afferrò per le spalle e tutti e due cademmo su un fianco sul letto. Lui cominciò a farmi il solletico e io cercai di liberarmi dalle sue mani dimenandomi come un'ossessa. Quando lui smise di premere ed agitare le dita tra le mie costole, avvicinò la testa alla mia; mi toccò le labbra con il pollice e poi le baciò.
- Comunque, a dirti la verità, non mi stupisce molto il fatto che tuo padre ti abbia proibito di vedermi, anzi, era più strano quando credeva che io fossi un bravo ragazzo - mi confessò Val una volta essersi allontanato di qualche centimetro dalla mia bocca.
- Tu sei un bravo ragazzo - lo corressi. - Solo che non lo dai a vedere a tutti.
Lui sorrise e mi guardò con una dolcezza sconfinata. Era un'enorme gioia per me vederlo così sereno negli occhi, soprattutto quando quel benessere proveniva da qualche mio gesto o qualche mia parola. Mi faceva sentire piena, immensamente felice.
- Perché mi sai leggere così bene, Ellie?
- Perché sei una delle mie favole preferite - gli rivelai, un po' imbarazzata per essere riuscita a dire una frase del genere, ma ne fui soddisfatta.
Valentin mi baciò di nuovo, stavolta con più impeto, e mi sentii andare a fuoco secondo dopo secondo.
Non potevo accettare che mio padre ci volesse lontani. Non riuscivo ad immaginare una me senza Valentin. Non più.
- Oggi avrai l'onore di sentirmi suonare - mi annunciò il finnico alzandosi dal letto e prendendo una delle sue chitarre, quella acustica, poi si sedette sulla sedia della scrivania.
- Mi sono sempre chiesta quanto tu sia capace - ammisi mentre alzai anch'io il busto dal materasso, ma rimasi lì seduta.
Valentin verificò che la chitarra fosse ben accordata, come se fosse passato tanto tempo dall'ultima volta che la suonò, poi cominciò a strimpellare qualche nota. La sua espressione concentrata lo rendeva ancora più affascinante e il mio cuore riprese a battere velocemente. Un sorriso si aprì spontaneamente tra le mie guance.

Baciata dalla lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora