30 - Sussurro

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Respirai a fondo non appena caricai la valigia dopo il borsone nel bagagliaio della macchina, poi diedi un'altra occhiata alla facciata della casa. Il settembre scorso avrei fatto i salti di gioia se avessi saputo che sarei tornata ad Ottawa a giungo anziché dopo un anno esatto dal mio arrivo in Inghilterra, invece ciò si rivelò la causa principale della mia tristezza.
- Dai Ellie! Sbrigati o faremo tardi! - mi richiamò papà, già seduto al posto guida. Caroline gli sedeva accanto.
- Sì - risposi lievemente e chiusi il bagagliaio, ma data la scarsa forza con cui lo feci, dovetti ripetere l'azione per la seconda volta.
Salii in macchina e mi voltai verso Charlie che, con sguardo supplichevole, mi guardava dall'interno del suo trasportino. Non volevo che soffrisse così tanto per quello spazio ridotto, ma lui sarebbe venuto con me in Canada e gli toccava sopportare quella pena per seguirmi fino a casa.
- Vedrai piccolino, ti piacerà molto Ottawa - sfiorai la rete della porticina e lui mi bagnò il polpastrello con il suo naso umido.
- Non stai dimenticando niente, vero? - mi chiese Caroline.
- No, è tutto a posto - le assicurai, ma in quel momento venni assalita da una forte ansia. E se avessi davvero lasciato qualcosa nella mia camera?
Ci pensai per pochi minuti, ma poi mi tranquillizzai rendendomi conto che, invece, avevo pensato proprio a tutto.
Ciò che avrei lasciato a Londra non erano beni materiali.
Passai tutto il viaggio in macchina a pensare a come sarebbe stato strano rivedere i miei amici canadesi, sopratutto Andrew. Anzi, non sapevo neanche se sarebbe mai venuto a prendermi insieme a mia mamma, ma una piccola parte di me voleva trovarlo là ad aspettarmi, dietro la porte scorrevoli.
Sapevo che ormai frequentava un'altra ragazza e che aveva finalmente trovato un modo per non pensarmi più, o almeno non assiduamente come prima. Rendermene conto mi provocava sollievo, ma anche delusione. Certo, non volevo che lui continuasse ad amarmi, dato che adesso amavo Valentin, ma non credevo che sarebbe stato stato così semplice per lui dimenticarmi.
Scossi la testa. No, nemmeno il più piccolo granello di me doveva desiderare di rivederlo in aeroporto. Il suo amore non era grande come lui voleva dimostrare, perciò non meritava di riavermi nella sua vita.
Lottai contro me stessa per non scoppiare a piangere in macchina. Evitai di ascoltare la musica per non indurre i miei occhi a riempirsi di lacrime, ma il fiume di pensieri che mi occupava la mente svolse da solo il suo lavoro e la gola faceva male perché era dura dover trattenere i miei rabbiosi sentimenti che insistevano a voler uscire.
E poi c'erano i sorrisi di Alexandra e Joseph, gli abbracci di Gwen e i baci di Valentin a vagare tra le camere del mio cervello; tutto ruotava così confusamente e velocemente nella mia testa che non riuscivo a darmi pace.
E poi si intromisero le scene della follia vissuta la scorsa notte, indimenticabile e rovinata da niente e nessuno. Quando tornai a casa, riuscii a rimettermi a letto senza svegliare né Caroline né mio padre. Non poté andarmi meglio!
- A che ora vengono i tuoi amici? - mi domandò papà scendendo dalla macchina e fu in quel momento che mi accorsi di essere nei parcheggi dell'aeroporto.
Guardai l'ora sul cellulare. Erano le 13:45.
- Dovrebbero essere già qui, davanti all'entrata - annunciai ed aprii la portiera.
Mentre mio padre si preoccupò di recuperare i miei bagagli, io presi il trasportino con Charlie al suo interno e ci dirigemmo tutti insieme verso le porte.
Non vedevo l'ora di vedere Valentin e di stringerlo fortissimo, in un modo che non mi capitò mai di fare, ma non appena raggiunsi l'ingresso dell'aeroporto, là dentro trovai solo Alex, Jo, Vic e Brenda.
Mancava anche Gwen alla lista.
- Ecco la nostra canadese! - gridò Alexandra allargando le braccia ed io sorrisi come un'ebete; lasciai Charlie nelle mani di Caroline e mi buttai sulla mia amica scoppiando già in lacrime. Mi sarebbe mancata moltissimo la mia dolce Alex.
- Cosa fai, piangi? - mi chiese lei cominciando ad imitarmi involontariamente.
- E tu che fai? Mimi una fontana? - la presi in giro ed entrambe ridemmo con le guance rigate.
- Abbraccio di gruppo per Eleanor! Forza! - Joseph si avvicinò a noi con le braccia spalancate e Victor e Brenda obbedirono senza obiezioni; i tre ragazzi strinsero me ed Alex dentro un caldissimo involucro dal quale non sarei mai più voluta uscire, ma purtroppo non durò molto quel momento di calore.
I miei amici salutarono Caroline e papà con un cenno di mano, i quali ricambiarono con un po' di timidezza, poi si dedicarono ancora a me.
- Non mi sembra vero che te ne vai - Jo non piangeva, ma era ben leggibile la tristezza nel suo tono di voce, anche se si sforzava di sorridere. - Insomma, sono troppo abituato ad averti tra le palle - ironizzò lui ed io gli mollai un ceffone sul braccio.
- Sei sempre il solito - risi mentre una lacrima si sciolse sulla mia lingua.
- Spero che ad Ottawa non ti dimenticherai di noi - mi disse Victor.
- Non succederà mai, stai tranquillo - gli garantii guardandolo dolcemente. - Ma, ragazzi, sapete dov'è Gwen? - chiesi con preoccupazione.
- Probabilmente ha avuto un contrattempo che la costringe ad arrivare in ritardo - suppose Brenda. - Non saprei che altro pensare.
- Non ti ha avvisato di nulla? - mi domandò Joseph.
- No, non ho ricevuto né messaggi né chiamate - rivelai.
- Mah, che strano... anzi, quando noi siamo arrivati pensavamo di trovarla già qui - Alex si grattò il mento guardandosi attorno, come se avesse potuto intravedere Gwen da un momento all'altro; anch'io perlustrai l'area attorno a noi, ma della rossa non c'era nemmeno l'ombra.
- Provo a chiamarla - presi il cellulare dalla tasca dei jeans ed attivai la chiamata.
Sapevo che il suo telefonino stava squillando, così rimasi in attesa di una risposta, ma dopo abbondanti secondi s'interruppe il collegamento.
- Non risponde, forse non ha sentito la suoneria - ipotizzai e feci spallucce sperando che la mia migliore amica arrivasse in tempo per salutarmi.
E nel frattempo, in cuor mio, ero in ansia anche per Valentin. Nessuno sapeva che mi avrebbe raggiunto anche lui, ma non capivo come mai stesse tardando.
Ripensai alla sera prima, a quando mi disse che sarebbe venuto. Sperai che fosse sincero.
Una grande paura di non riuscire più a vederlo si impadronì aggressivamente del mio corpo e anche se provai a camuffarla, i ragazzi videro qualcosa di strano in me.
- Ellie, tutto bene? Stai tremando - notò Victor toccandomi un braccio, ma io non seppi rispondere e rivolsi lo sguardo al suolo.
- Hai paura dell'aereo, di' la verità - scherzò Joseph spingendomi lievemente e riuscì a strapparmi una risata.
- No, non ho paura - scossi la testa e portai una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Sì invece che avevo paura, ma non per il viaggio che avrei dovuto affrontare.
- Ellie, è meglio se tra poco ti avvii verso il gate - mi suggerì papà, ma una morsa mi strinse lo stomaco e mi sentii come se delle radici mi fossero spuntate dalla pianta dei piedi e si fossero subito insidiate nel pavimento.
- Gwen non è ancora arrivata! - protestai con una tristezza che gli altri avrebbero considerato esagerata, ma nella mia mente continuavo a chiamare anche Valentin e non potevo permettere che nessuno dei due mi vedesse per l'ultima volta prima della partenza.
Non volevo muovere un passo, non finché non avessi salutato tutte le persone a cui tenevo.
- Non puoi perdere l'aereo - si aggiunse anche Caroline e ciò mi appesantì il macigno che rischiava di schiacciarmi i polmoni.
- Ancora qualche minuto, per favore!
- Massimo cinque, mi raccomando - papà mi puntò un dito contro, ma non era un rimprovero. Era calmo, o forse era quello che lui voleva mostrare di essere.
- Cos'è, non vedi l'ora di liberarti di me? - cercai di sdrammatizzare la situazione con un po' di ironia e sorrisi incrociando le braccia al petto.
Mio padre si avvicinò a me guardandomi in un modo che non usava da anni. Sembrava amarmi con gli occhi.
- Non so neanche quando potremo rivederci ancora e tu mi chiedi una cosa del genere? - le sue grandi mani si poggiarono delicatamente sulle mie guance umide e nuove lacrime caddero sulle sue dita.
- Stavo scherzando, papà.
- Ti voglio bene, Ellie - l'uomo mi strinse inaspettatamente in un abbraccio ed io non potei far altro che ricambiarlo. Le mie mani rimasero a mezz'aria per due secondi prima di poggiarsi sulla sua possente schiena.
- Anch'io - mi lasciai sfuggire dalle labbra con una voce così lieve da non poterla quasi sentire.
I miei amici applaudirono con commozione alla vista di quell'evento raro. Anche Caroline applaudì ed io chiusi gli occhi stringendo forte le palpebre. Forse le lacrime si sarebbero fermate o forse quando avrei riaperto gli occhi non mi sarei più trovata in quell'aeroporto, ma a casa mia, ad Ottawa, molti anni prima; mi sarei ritrovata in salotto a giocare con le bambole attendendo che papà tornasse da lavoro mentre mamma preparava una delle sue buonissime torte alla frutta, poi lui avrebbe aperto la porta d'ingresso e mi avrebbe chiamata dicendomi che aveva una sorpresa per me, un peluche a forma di delfino.
Sì, sarei corsa da lui abbracciandolo forte e gli avrei detto all'orecchio che volevo più bene a lui che a mamma perché lei era da tempo che non mi comprava un giocattolo nuovo.
E invece eccomi lì, in un aeroporto a salutare mio padre come facevo da piccola, ma stavolta non per accoglierlo in casa, ma per lasciarlo andare un'altra volta. Non volevo riaprire gli occhi per paura di dover affrontare il presente, ma dovetti buttarmi e lasciare il passato intrappolato nei miei ricordi.
Quando riaprii gli occhi, ciò che vidi furono due iridi verdi puntate su di me. Dietro le spalle di papà c'era Valentin a qualche metro di distanza e il mio cuore perse un battito. Sul suo viso non c'era traccia di un sorriso, ma neanche di lacrime.
Non c'era traccia di niente, di nessun sentimento... una cosa molto insolita per lui. Era neutro, inespressivo, assente.
Però era lì che mi chiamava con lo sguardo e chissà cosa avrebbe voluto davvero dirmi mentre il silenzio dei miei amici, rimasti inermi davanti alla sua presenza, lasciava in tutti noi dei punti interrogativi.
- Cosa ci fa qui, quello? - chiese Jo sottovoce, pareva voler interrogare se stesso.
- Non essere acido anche questa volta! - lo rimproverò Alex strattonandolo per un braccio. - Dev'essere dura per lui lasciarla andare.
Mi staccai da papà e anche lui guardò nello stesso punto in cui rimasi bloccata con lo sguardo, ma non disse una parola. Ignorai i commenti dei miei amici e la faccia sbalordita di Caroline e cominciai a camminare verso Valentin. I primi passi avanzarono incerti per poi accelerare e alla fine mi ritrovai a correre.
Lui no, non si spostò neanche di un centimetro, ma non appena lo strinsi con tutta la forza che avevo, mi avvolse con le sue braccia e poggiò il mento sulla mia testa; piansi ancor prima di rendermene davvero conto e una grande mano mi accarezzò la nuca.
- Sei qui - dissi con voce tremante bagnando la maglietta nera di Valentin con le mie lacrime. - Non voglio lasciarti. In realtà non ho mai voluto farlo, te lo giuro. Abbiamo avuto dei problemi in quest'ultimo periodo, ma se non fosse per questa partenza, io sarei già tornata a cercarti.
- Ellie, lascia stare, per favore - mi rispose il finnico con un tono così fermo e gelido che mi fece paura, poi mi prese per le spalle e delicatamente mi allontanò dal suo petto. Lo guardai con aria confusa e quando notai i suoi occhi lucidi ma seri, sentii una fitta al cuore.
- Che ti succede? Sembri arrabbiato.
- Parliamone fuori - sentenziò e poco dopo aver dato un'occhiata fugace agli altri, ancora sorpresi per ciò che stava accadendo, mi trascinò via per un polso.
- Non preoccupatevi, dateci solo due minuti! - cercai di tranquillizzarli, ma non ebbi neanche il tempo di sentire una loro risposta ché già camminavo dietro Valentin.
Una volta usciti, lui tirò fuori dalle tasche dei jeans un pacchetto di sigarette e un accendino. Era così attaccato al tabacco che persino l'ultimo istante vissuto insieme l'avrei visto fumare.
- Perché hai quella faccia? Non capisco come ti senti e mi sto preoccupando - incrociai le braccia al petto mentre lui accese una sigaretta e fece il primo tiro.
- Esatto, non so come sentirmi, cazzo.
- Cosa vuoi dire?
- Sai cosa voleva Gwen da me questa notte? Stamattina mi ha richiamato, mi ha detto che doveva parlarmi, così ci siamo visti e abbiamo fatto colazione in un bar. Quella stronza mi ha confessato che vi siete baciate prima della gita a Dublino! E tu me l'hai nascosto! Adesso dimmi... come dovrei sentirmi? Triste perché questa è la fottutissima ultima volta che ti vedo o incazzato a morte con te per non essere stata sincera con me? - Val cominciò a farmi la predica ed io non potei essere più sconvolta, ma soprattutto delusa da Gwen.
Insomma, per quale motivo decise di mandare all'aria tutto? Perché parlò a Valentin di quel bacio? Ma soprattutto, perché proprio appena prima della mia partenza?
Non seppi mai rispondermi a quelle domande.
- Frena un attimo! Ti ha detto che è stata lei a baciare me, vero? Perché è così che è andata! - mi alterai anch'io.
- Sì, ma tu non me ne hai parlato!
- Perché avresti sofferto inutilmente!
- Ma avrei saputo la verità! Gwen è innamorata di te e tu me l'hai negato! Quindi se hai preferito nascondermelo, vuol dire che ti è piaciuto quel bacio, ammettilo.
- Non sparare stronzate! Io non sono lesbica! E la persona della quale sono innamorata sei tu, dannazione - mi strinsi nella spalle abbassando il capo e altre lacrime scivolarono giù, rabbiose e abbondanti come il sangue di una ferita profonda. - Non posso credere che Gwen... - interruppi la frase con un singhiozzo.
- Ha fatto bene a dirmelo, invece - mi corresse Valentin. - Adesso so che avevo ragione a non fidarmi pienamente di te.
- Ma lo vuoi capire? Non volevo che tu stessi male! E non volevo neanche che tu andassi da lei a dirgliene quattro - rialzai lo sguardo sul finlandese e feci una smorfia nel vedere quanto dolore inutile bruciava nei suoi occhi.
Sì, io lo trovavo inutile perché a parer mio mi stava rimproverando per un bacio che io non avevo mai ricambiato e che ricevetti inaspettatamente, dunque del quale non mi era mai importato.
- Ah, giusto, pure la tua amichetta non doveva star male.
- Adesso smettila con questa scenata, ti stai rendendo ridicolo - scossi al testa.
- Sappi che comunque l'ho mandata a 'fanculo - mi informò Valentin avvicinandosi di un passo a me. Il fumo della sua stupida sigaretta m'investì la faccia ed io mi girai mostrando a quel matto una guancia.
- Vi eravate appena riappacificati.
- Non m'importa un cazzo. Non voglio persone false attorno a me, ma d'altronde avrei dovuto aspettarmelo da una come lei, dato che non è la prima volta che la puttana mi nasconde le cose - la sua voce si riempì d'odio al ricordo di quel tradimento.
- Smettila di parlare così, avevi smesso! - lo spinsi via e lui aggrottò le sopracciglia.
- Non ho mai smesso di detestare chi mi sta intorno! E adesso detesto anche te, l'unica persona che avrebbe dovuto salvarmi e invece se ne sta andando via! - il finnico quasi gridò e alcune persone si voltarono a guardarci, ma io cercai di non badarci.
- No, tu non mi detesti - dissi con convinzione inchiodandomi ai suoi occhi.
- E invece sì.
- Tu mi ami, idiota.
- Ho qualche dubbio.
- Non staresti piangendo.
Valentin si portò la mano libera su una guancia, poi guardò le sue dita e le asciugò frettolosamente sulla maglietta. Pareva non credere di essersi lasciato andare ad un pianto di rabbia.
- Piango perché sono nervoso - lui mi diede le spalle, chiaramente in imbarazzo, ma io mi rimisi di fronte a lui e gli alzai il volto con entrambe le mani.
- Non rovinare tutto - gli sussurrai quasi. - Tra pochissimo dovrò rientrare e prendere l'aereo. E' una questione di secondi ed io sparirò dalla tua vista, dalla tua vita. Lascia perdere il rancore, le stupidate, tutto. Baciami.
Valentin gettò la sigaretta per terra e la pestò con un piede, ma non mollò mai le mie iridi blu.
- Non voglio baciarti - si rifiutò lui con le labbra tremanti, ma era chiaro che non fosse la verità, così mi alzai in punta di piedi e lo baciai io.
Premetti la mia bocca sulla sua per qualche istante, ma lui era rigido, sentivo che non aveva intenzione di ricambiarmi, così mi staccai e strinsi gli occhi per reprimere altre lacrime, ma il tentativo si rivelò vano.
- Ma che cazzo ti prende?
- Te l'ho spiegato.
- Me ne infischio di quella spiegazione, Val. Non puoi permettere che Gwen rovini questo momento! Io ti amo! - dissi a voce alta allontanandomi da lui di pochi centimetri e le mie mani scivolarono via dal suo viso.
Rimanemmo fermi a guardarci per un momento che mi parve durare cent'anni, poi Valentin si riavvicinò a me, portò le labbra vicino al mio orecchio e sentire il suo respiro accarezzarmi la pelle mi fece rabbrividire.
- Quello che c'è stato stanotte significava molto per me, ma ti ricorderò così: bellissima e innamorata di me - mi sussurrò con voce calda, ma rotta a causa del pianto.
Era così vicino che mentre parlò sentii il lieve tocco della sua bocca sul lobo, poi lo avvertii anche sul collo e lui si ritrasse lentamente.
Di nuovo faccia a faccia, l'ultima volta.
- Addio, Eleanor - Valentin mi lasciò così, pronunciando il mio nome con le ciglia grondanti di acqua e le pupille arrossate, poi mi diede la spalle e se ne andò via.
Rimasi ferma a guardarlo mentre la sua figura diveniva sempre più piccola e allora diventò praticamente impossibile smettere di piangere. Non provai né a corrergli dietro né a richiamarlo perché sapevo che lui non si sarebbe mai voltato indietro, anzi avrebbe aumentato il passo pur di sparire presto; i suoi capelli ondeggiavano col vento, le mani in tasca e il fumo di un'altra sigaretta a fargli da contorno.
Non era così che avevo immaginato di salutarlo, ma la realtà è sempre pronta a mostrarsi peggio di quel che si pensa.
Mi asciugai le guance e respirai forte prima di tornare dentro e raggiungere gli altri. Dopo gli ultimi saluti avrei dovuto svolgere tutte le procedure prima di imbarcarmi per tornare a casa e siccome non vedevo già l'ora di andarmene, rientrai senza perdere un secondo di più.
- Ellie, tutto bene? - s'interessò Alexandra e mi accarezzò una spalla.
- Sì, tranquilla, non è successo niente.
- Sicura? Sembrava piuttosto incazzato... - Vic si riferì a Valentin.
- Sapete com'è fatto, si arrabbia per sciocchezze... non accetta io che me ne vada, ma deve farsene una ragione - la buttai lì facendo spallucce, tanto mi avrebbero creduta.
- Ma Gwen dov'è? Perché non arriva? - Jo pareva esasperato.
- Lei non verrà - dissi freddamente.
- Ma come? - Alex era stranita, così come gli altri.
- Valentin mi ha detto che ha avuto un contrattempo - mentii a tutti e loro mi credettero anche quella volta.
- Ma che carino, poteva almeno salutare, quel capellone... - commentò sarcasticamente Caroline, ma io preferii ignorarla. Non poteva sapere cosa successe realmente.
Tra baci e abbracci lasciai papà, Caroline e i miei amici nella loro Londra e mi avviai con Charlie e i bagagli verso la mia vecchia vita, mia mamma, la mia amata Ottawa.
Il periodo d'attesa per salire sull'aereo lo passai interamente a tartassarmi il cervello di perché, a trovare una possibile spiegazione al comportamento insensato di Gwen. Io tenevo tanto a riabbracciarla e invece lei rovinò tutto.
Ma cosa le passò per la testa? Per quale motivo rinunciò a salutarmi?
Non lo seppi mai.
Il viaggio di andata lo passai a leggere un romanzo di Lily Benson, quindi feci la stessa cosa anche per il ritorno. Mi appoggiai allo schienale e tirai fuori dalla borsa ciò che mi avrebbe tenuto compagnia per un bel po' di ore: Charlie and the Moongoods.
In qualche modo Valentin poté partire insieme a me.

Baciata dalla lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora