3 - La famosa Eleanor

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Scesi le scale per andare al piano di sotto poco dopo aver spento il computer in camera mia. Ero felice di aver appena rivisto Andrew e i miei amici su Skype, ma allo stesso tempo mi sentii improvvisamente nostalgica. Mi mancava casa mia, mi mancava la mamma, mi mancava la mia città. Rendermi conto di trovarmi nell'appartamento di mio padre a Londra mi rattristava.

Arrivata in cucina, aprii il frigorifero per vedere cosa ci fosse da sgranocchiare poco prima che tornasse Caroline dal supermercato, ma lo trovai vuoto. Sperai che la compagna di mio padre arrivasse con tanti sacchetti pieni di cibo, altrimenti avrei potuto innervosirmi se avessi visto Caroline entrare in casa con pochi prodotti. Alla fine optai per un tè caldo, così cominciai a prepararlo.

- Che stai facendo? - sentii la voce di mio padre e lo vidi con la mano appoggiata allo stipite dell'arcata che divideva il soggiorno dalla cucina.

- Non lo vedi? Preparo un tè - gli risposi con malavoglia mentre versai dell'acqua in un pentolino e accesi il fornello.

- Faresti una tazza anche per me, per piacere? - mi chiese lui gentilmente ignorando il mio tono svogliato.

- Okay - accettai di fargli il favore e aggiunsi un po' d'acqua nel tegame. Nell'attesa che essa si scaldasse, mi sedetti al tavolo che stava al centro della stanza e mio padre fece lo stesso. Stavo cominciando a pensare che volesse parlarmi di qualcosa, poiché si posizionò accanto a me e mi guardò.

- Com'è andato il primo giorno di scuola? - mi chiese papà sorridendomi. Dalla prima volta che misi piede a Londra, lui e Caroline facevano di tutto per mostrarsi gentili ai miei occhi, giusto per farmi credere che anche loro fossero capaci di calzare i panni dei genitori perfetti. Come poteva soprattutto mio padre comportarsi in quel modo dopo avermi ignorata per due anni? Come poteva far finta di nulla? Detestavo quell'atteggiamento.

- Bene, non ho fatto niente di che - risposi con lo sguardo dritto verso il tavolo ligneo e le mani che si torturavano.

- Hai conosciuto qualcuno? Hai fatto amicizia? - continuò l'uomo ad interessarsi insolitamente alla mia vita. Lo trovavo patetico.

- Sì, ho parlato con una ragazza del terzo anno - risposi riferendomi a Stacie Peters, ma non volli cadere dei dettagli. In un lampo mi venne in mente anche la figura di Valentin, ma preferii non nominarlo. Dopo quella risposta ci fu qualche attimo di silenzio. Fu imbarazzante avere papà seduto accanto a me senza proferire alcuna parola. Le mie mani non riuscivano proprio a star ferme.

- Sai, quando sorridi non mi sembri davvero felice - si sbloccò mio padre. - Cioè, da quando sei qui non ho mai visto un vero sorriso sul tuo volto - si spiegò lui e aveva ragione. Non gli sorridevo con sincerità. Più che sorrisi, i miei erano regali non meritati.

- Strano che te ne importi - gli dissi con un tocco di rabbia in petto e lui respirò profondamente.

- Mi è sempre importato di te.

- Non si direbbe, dato che per due anni sei sparito - gli rinfacciai il suo più grande errore commesso nella vita.

- Mi sono serviti per riflettere - si giustificò papà.

- Riflettere? Su cosa? Su come giocare con il cuore di una figlia? - sbottai perdendo il controllo della rabbia che crebbe tutto d'un tratto dentro di me e mi alzai dalla sedia. Portai nello stomaco per troppo tempo il peso del rancore che provavo verso mio papà e in quel momento non seppi più trattenermi. Le lacrime stavano sull'orlo dei miei occhi, ma mi feci forza e non volli cedere ad un pianto. Tanto quell'uomo non mi avrebbe capita, ne ero sicura.

- Non alzare la voce, Eleanor! - mi rimproverò voltandosi a guardarmi, ma io insistevo a non voler incrociare i miei occhi con i suoi. Sostenevo che fissare le piastrelle del pavimento fosse più interessante. Non aprii più bocca, mi era passata addirittura la voglia di parlare. Quei pochi attimi di silenzio che si crearono sembravano eterni. L'unico rumore che sentivo in quella cucina era l'acqua nel pentolino che cominciava a bollire.

Baciata dalla lunaWhere stories live. Discover now