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-Io non ci voglio andare dallo psicologo - dissi furiosa per quella che probabilmente era la quindicesima volta.

Come potevano pensare che riuscissi a fidarmi di loro, dopo tutto quello che mi avevano fatto passare?

- Ma amore, noi siamo preoccupati per te!- fu la risposta pacata di Jasmine.

Non ce la feci più, tirai fuori tutto il mio odio e la mia ira fino a quel momento represse.

-Bhè, si dà il caso che a me non freghi niente di quello che pensate voi, non siete i miei genitori e non ho intenzione di stare ad ascoltare quello che dice un perfetto sconosciuto - e con queste parole mi chiusi in camera.

Sapevo perfettamente che poi ne avrei pagato che le conseguenze, ma poco mi importava, presa dalla rabbia e dalla paura non avevo saputo trattenermi.

Questo è stato l' unico discorso fatto con la mia" famiglia"da più un mese di adozione.

A questo punto immagino di dovervi spiegare perchè mi trovo in questo inferno.

Mi chiamo Amanda Blum e vivevo nel NewYersy con la mia famiglia, quella vera: mia madre Alice, mio padre Michael e i miei fratelli, Giordan ed Eric, che erano gemelli e più grandi di me di circa 8 anni.

Vivevamo in una villetta bianca in fondo ad una strada prestigiosa, forse la più ricca di tutto il quartiere.

Non ci ho mai dato troppo peso, non vivevo per vantarmi di ciò che possedevo.

Perché, alla fine, mi mancava la cosa più importante di tutte: l'affetto.

La mia vita infatti, anche allora era un inferno: ero la classica secchiona senza una vita sociale che si vestiva sempre di rosa e senza un' amica, non ero per niente bella e portavo l'apparecchio, avevo occhi grigi come il mare in tempesta , le labbra sempre screpolate, visto che quando sono nervosa tendo a morderle, un naso per niente aggraziato e zigomi quasi invisibili, capelli biondo grano sempre annodati e spettanti.

Venivo sempre presa in giro dai bulli della scuola e io non avevo mai la forza di reagire e così le prendevo sempre.

La stessa cosa succedeva a casa: i miei genitori erano sempre via per lavoro, perciò mi toccava stare con quegli idioti che mi ritrovo come fratelli, a volte mi chiedevo se ero veramente loro sorella.

Ad ogni modo, ero costretta a vivere per la maggior parte del tempo.

Ci misi un pò, ma alla fine trovai un modo per distinguerli.

Entrambi infatti erano altissimi, almeno un metro e novanta.

Dei ricci capelli biondi incorniciano un viso segnato da due piccoli occhi azzurri, i quali tendevano a cambiare tonalità in base al loro umore o al tempo esterno.

Se erano arrabbiati diventavano come il mare in tempesta, mentre se erano tranquilli, si poteva scorgere un limpido cielo attraverso essi.

Entrambi, proprio come me, praticavano box, perciò anche il fisico statuario era pressoché uguale.

L'unico modo che trovai per distinguerli, fu il carattere.

Eric voleva punirmi per tutto, ogni piccola imprecisione era perseguibile, mentre George cercava sempre di farlo ragionare, di mettersi nei miei panni e di calmarlo.

Devo ammetterlo: insieme, erano una squadra a dir poco perfetta.

Aprire però la porta di casa sapendo di aver preso un brutto voto o aver commesso anche solo un piccolo sbaglio poteva benissimo essere paragonato ad un suicidio.

Anche loro infatti, come tutti mi prendevano in giro e mi facevano di tutto: mi bruciavano i compiti delle vacanze, tagliavano la testa alle mie bambole, cospargevano la mia camera sempre in ordine con i loro vestiti sporchi.

Loro però, a differenza di tutti gli altri, non mi picchiavano.

Mi testavano.

Mi facevano combattere o allenare fino a quando non ne potevo più, fino a che non cadevo a terra, senza la forza di rialzarmi.

Questo era il loro modo di punirmi.

Mi rafforzavano, o almeno così dicevano.

Pretendevano che mi sapessi difendere sa sola ma non riuscivano a capire che l'unica cosa di cui avevo veramente bisogno era amore.

Amore che mi dimostravano raramente, ma quando succedeva, ero la ragazza più felice del pianeta.

Non lo dichiaravano apertamente, ma sapevo che infondo, ci tenevano a me, così come io tenevo a loro.

Erano molto gelosi quando parlavo con qualche ragazzo non proprio raccomandabile e, a volte, erano loro a proteggermi dai bulli, anche se poi a casa, pensandoci bene, avrei preferito essere picchiata da quegli arroganti piuttosto che ricevere le loro punizioni.

Per questo quando, 7 anni fa vollero andare al college, io ero molto dispiaciuta e, non avendo trovato la forza di accompagnarli, rimasi a casa, mentre la mia famiglia se ne andava per sempre, allora però non sapevo quanto la mia scelta si fosse rivelata giusta, o sbagliata, a seconda dei punti di vista.

Il tempo passava e nessuno tornava, non sentivo il rumore della chiave girare nella serratura, così come non sentivo la voce dei miei genitori.

Iniziai a preoccuparmi.

Dopo circa 5 ore dalla partenza dei miei, venni chiamata dalla polizia, la quale mi spiegò che i miei genitori si erano scontrati contro un bus che non aveva rispettato lo stop e che erano morti tutti sul colpo.

Con quelle semplici parole, il mondo mi crolló addosso in un istante.

Nonostante i miei genitori non si prendessero molta cura di me gli volevo molto bene, soprattutto perché mi avevano sempre aiutato e supportato.

I miei fratelli invece... loro erano essenziali per me, la mia ragione di vita; una volta mi avevano detto che mi trattqvano in quel modo per rendermi più forte, perché il mondo colpisce in continuazione e se non si è pronti, si rischia di venire messi all' angolo.

Io allora la credevo una scusa, ma solo ora mi rendo conto che avevano ragione e che effettivamente, mi hanno rafforzato sia dentro che fuori.

Così, in onore di quei strani ma simpatici matti, non mi permisi di versare nemmeno una lacrima, in modo che vedessero che ció che avevano fatto, era servito.

Tuttavia ci volle tutta la mia forza, perchè subito dopo la spiegazione il poliziotto mi disse che mi avrebbero mandato in un orfanotrofio dato che ogni parente si era rifiutato di accudirmi, dovevo solo sperare di incontrare persone simpatiche.

Dio, quanto mi sbagliavo.

BAD ANGEL[Cameron Dallas]Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum