Capitolo 3

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Guardo fuori dal finestrino mentre Ethan e mia madre cercano di avere una conversazione che sia degna di essere definita tale, non ottenendo alcun risultato, siccome sono entrambi scossi quanto me. Siamo stati tutti colti impreparati.

Non vedo l'ora di tornare a casa e lanciarmi sul letto come se niente fosse. L'unica cosa da fare, per il momento, è fare finta di nulla. Sono riuscita a superare la morte di mio padre, supererò anche questa. Se c'è qualcuno che meglio sa come gestire il dolore, quella sono proprio io.

Appena mia madre parcheggia l'auto all'interno del garage, scendo immediatamente, senza dare loro il tempo di realizzare. Avanzo verso l'ascensore del grande palazzo dove abito. Un signore si avvicina con in mano un giornale. È troppo vicino per i miei gusti. Deve essere nuovo da queste parti, perché non lo avevo mai visto prima d'ora. Forse è qui per affittare una casa, se non addirittura comprarla. In questo palazzo abitano molte persone ricche, anzi, solo ed esclusivamente ricchi, quindi posso confermare la mia teoria, anche senza sapere nulla di lui. È sulla sessantina, tiene in mano un giornale, che sfoglia con cura mentre si porta il dito indice alla bocca di tanto in tanto per bagnarlo di saliva e sfogliare le pagine con più facilità.

Mi allontano un po', sperando che non si accorga di nulla. Comincio a sentirmi stupida quando mi rendo conto che in realtà non mi calcola proprio, forse è tutto nella mia testa e questa consapevolezza è ancora più inquietante.

Mia madre e mio cugino finalmente mi raggiungono. Una volta dentro, sospiro e premo il pulsante che porta al settimo piano.

«Abitate qui?», chiede l'anziano.

«Sì, e lei? Non l'ho mai vista da queste parti».

Abbasso la testa per evitare di incontrare i loro sguardi, soprattutto quello dello sconosciuto.

«Mi sono appena trasferito, in realtà», dice, arrotolandosi il giornale tra le mani.

«Buona fortuna per tutto allora», dice mia madre, proprio nello stesso momento in cui si aprono le porte. Tiro un sospiro di sollievo.

L'aria cominciava a farsi pesante. L'ascensore riparte dal quarto piano.

Una volta dentro, mia madre getta le chiavi sul tavolino di vetro all'entrata, mentre io attraverso il salotto a passo spedito, per raggiungere la mia camera, che non vedo da giorni.

Anche se sono una persona molto ordinata, quel giorno, prima di uscire, per la fretta ho lasciato qualche vestito sul letto e qualche paio di scarpe sul pavimento. Quando ho cominciato a prepararmi, mi ero appena risvegliata da un sonnellino durato tutto il pomeriggio e, vista l'ora, non ho avuto nemmeno il tempo di rifare il letto. Sono corsa in bagno a fare una doccia veloce, dimenticandomi persino di prendere i vestiti puliti. Uscita dal box doccia, ho i infilato l'accappatoio in fretta e furia, dopodiché mi sono precipitata nuovamente in camera, davanti all'armadio. Ho spalancato le ante e ho cercato con lo sguardo qualcosa da mettermi e, soltanto dopo circa venti minuti, ho trovato il vestito giusto.

Adesso è tutto ordinato, mia madre avrà sicuramente chiamato Giulia, la nostra domestica di fiducia. Dico così perché le altre sono tutte ladre. È abbastanza difficile, al giorno d'oggi, trovarne una che non tocchi nulla. Mia madre si è impegnata molto, l'ha cercata per mari e monti e alla fine l'ha trovata. Lei è italiana, ma parla perfettamente la nostra lingua, siccome ha origini americane. Ha venticinque anni appena compiuti, un viso d'Angelo capace di impressionare chiunque e una voce talmente sottile che a volte nemmeno si sente quando parla. I capelli mossi e castani a contornarle il viso pallido, gli occhi nocciola e delle labbra anch'esse sottili, ma non troppo, non come quelle della mia insegnante di educazione fisica, le sue a malapena si vedono.

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