Capitolo 17

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Scendo le scale di corsa e attraverso il corridoio che conduce in palestra a passo spedito.

Arrivo davanti alla porta della palestra, faccio un respiro profondo e spingo la barra di metallo.

Resto imbambolata a fissarli, rendendomi conto di aver fatto una stronzata a venire a scuola oggi. Non pensavo ci sarebbero stati anche loro.

Adam si avvicina lentamente, con aria di superiorità.

«Sei ancora viva?».

Scoppio a ridere, spegnendo così il suo sorriso beffardo.

«Non sono io quella che si crede invincibile».

«Sei contento di quello che mi hai fatto? Non bastava abusare di me, dovevi anche accoltellarmi?», alzo la voce. Non dice niente, si limita a guardarmi.

Le mie grida rimbombano per tutta la palestra e l'eco giunge alle mie orecchie come uno schiaffo.

«Ne ho abbastanza», dice, facendo segno agli altri due, che si avvicinano minacciosamente.

Metto la mano in tasca ed estraggo il coltello. I due sembrano fare uno scatto all'indietro e il sorriso di Adam all'inizio si affievolisce, poi il ghigno gli compare nuovamente sul volto.

«Cosa pensi di fare?», chiede, mentre gli altri due sembrano aver perso la parola.

Nemmeno il tempo di realizzare che cosa sta succedendo, che i due mi corrono incontro. Succede tutto così dannatamente in fretta.

Uno di loro mi gira il polso e mi fa cadere il coltello di mano, facendomi urlare dal dolore. Riesco a tirargli un calcio in mezzo alle gambe, facendolo piegare su sé stesso, mentre l'altro lo afferra e lo punta contro di me.

«Adesso tu vieni con noi», dice Cristopher, afferrandomi per i capelli. Mi posiziona una mano davanti alla bocca.

Mi trascina fino all'uscita di sicurezza della palestra. Gli altri due ci seguono a ruota.

Faccio un respiro profondo prima di mordergli la mano e cominciare a urlare. «Aiuto!», mi tappa la bocca senza darmi occasione di aggiungere altro. Provo a guardarmi intorno per vedere se ho attirato l'attenzione di qualcuno, ma non riesco a vedere niente e poi non credo. Proprio in questo momento la campanella è suonata e c'è un gran baccano.

Ci fermiamo solo una volta raggiunta un'auto nera parcheggiata proprio nel parcheggio di fronte alla scuola. Ha i vetri scuri, quindi non riesco a vedere se c'è qualcuno al suo interno.

Mentre Cristopher mi tiene ancora ferma, Adam comincia a salire e Dorian apre il cofano. Sembra stia cercando qualcosa. Dopo un po' lo richiude e si avvicina a noi con in mano del nastro adesivo. Lo useranno per tapparmi la bocca e impedirmi di gridare, ne sono sicura. Cristopher mi fa salire in macchina tirandomi i capelli, mentre ancora tiene la mano premuta sulle mie labbra.

L'auto parte e io mi sento mancare il fiato.

Non devo piangere, non devo piangere, non devo piangere. Continuo a ripetere queste parole nella mente, sperando che questo mi aiuti a trattenere la lacrime. Non devo mostrare alcun segno di debolezza, mi ripeto, perché loro si nutrono della mia paura.

Quando l'auto si ferma di nuovo mi costringono a scendere e resto sopresa quando vedo il palazzo dove abito di fronte a me. Non posso crederci... Mi hanno davvero portata a casa? Impossibile. Cos'hanno intenzione di fare, allora? Vogliono prendere anche mia madre, forse?

La paura aumenta. Soprattutto quando sento puntarmi la pistola al fianco. La nasconde, mentre saliamo le scale del palazzo a passo spedito.

Incontriamo poche persone e nessuna di loro si accorge di nulla.

C'è qualcosa che non quadra. Perché non ci fermiamo al mio piano, ma continuiamo a salire in alto. Che vogliano buttarmi di sotto?

Non posso fare nulla, se urlo mi ammazzano e anche se provo a scappare. Sono disperata, sto perdendo la lucidità e non riesco nemmeno più a ragionare.

Ci fermiamo. Abbiamo tutti il fiatone. Sarà il quarantaduesimo piano.

Dorian apre una porta che c'è su questo piano. Christopher mi afferra per le spalle e mi lancia all'interno dell'appartamento. Cado vicino all'ingresso. Assumo una smorfia di dolore. Credo di essermi slogata un braccio e come se non bastasse, all'entrata ci sono tre scalini in legno, quindi sono andata a sbattere su uno di loro e mi sono fatta male al fianco destro. Sono tutta ammaccata. Nemmeno il tempo di riprendermi, che mi afferra di nuovo per i capelli e mi scaraventa al centro della stanza.

L'appartamento è vuoto. Non ci sono mobili, niente di niente. Solo un'enorme stanza con le pareti grigie e le finestre con attaccato ai vetri del nastro isolante.

Christopher sta per avvicinarsi di nuovo, ma Dorian lo ferma, posizionandogli una mano sul braccio.

«Lascia stare, vuoi forse ammazzarla? Lei ci serve viva. Troveremo un altro oggetto di sfogo, ma non lei», gli dice, per poi avvicinarsi a me.

Vedo Cristopher lanciarmi un'occhiataccia e poi scomparire nel corridoio, lo stesso che ha imboccato Adam qualche secondo fa.

La seconda caduta mi ha provocato un dolore lancinante alla gamba destra e come se non bastasse ho pure sbattuto la testa, che adesso mi fa male. Voleva forse uccidermi in un modo così sadico? Preferirei un colpo di pistola alla tempia. Spero solo che non mi torturino, perché in quel caso sarebbe molto meglio la morte.

Dorian si avvicina a me con in mano del nastro isolante e un ghigno perfido stampato sulla faccia. Me lo mette sulla bocca proprio nello stesso momento in cui vedo arrivare Cristopher alle sue spalle, con una sedia di legno in una mano e una corda nell'altra.

Christopher mi spinge violentemente sulla sedia, rischiando di farmi cadere. Riesco a non perdere l'equilibrio. Mentre Cristopher scompare di nuovo nel corridoio, Dorian si avvicina all'interruttore e ci posiziona una mano sopra, mentre mi guarda con un ghigno perfido stampato sulla faccia.

«Sarai nostra ospite per un po'. Comportati come se fossi a casa tua», dice, prima di spegnere le luci e andare via anche lui.

Il pavimento è sporco e talmente ché e pieno di polvere non riesco a respirare bene.

Perché hanno un appartamento nel mio palazzo? Da quanto tempo ce li avevo così vicini e nemmeno lo sapevo? E se mi avessero presa di mira già da un po'? Magari è per questo che si trovavano sulla mia stessa strada, quella sera. Il nostro incontro, forse, non è stato casuale, ma era tutto programmato.

***
Dopo non so quante ore, Dorian fa ritorno. Si avvicina a me con una bottiglia d'acqua in mano, mi toglie il nastro adesivo dalla bocca e dice «Bevi».

Mi passa la bottiglia e faccio come dice. Ho una sete pazzesca. Dopo un paio di solsi me la strappa di mano e non riuscendo a trattenermi, dico «Tanto prima o poi sarete beccati».

«E come faranno a trovarci, se noi siamo stati attenti a non lasciare tracce?».

«Stronzo, non siete tre versioni differenti di Gesù Cristo, avrete sicuramente dimenticato qualcosa. Vi conosco, ormai, pensate di essere intelligenti e in realtà siete le persone più stupide che io abbia mai conosciuto», rispondo, acida, con il solo scopo di ferirlo e fargli provare almeno una parte di tutto il dolore che ho provato io, ma non funziona.

Mi tira uno schiaffo in pieno volto, facendomi sanguinare il labbro. «Prima o poi ti ucciderò», dice a denti stretti, agitando il dito indice davanti alla mia faccia.

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