II (R)

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Le foglie autunnali sfioravano la pelle del mio viso dopo essersi staccate dai rami di un maestoso albero a causa del vento. Inspirai ed alzai il busto. Osservai come lo spazio circostante fosse privo di vita, non vi erano alberi di fiori di ciliegio, fiori, animali, persino il sole sembrava essere sparito. Stavo sognando. Per la decima volta mi ritrovai in quel luogo oscuro e freddo.

Mi alzai completamente e, ancora una volta, notai il mio raffinato vestiario. Quell'abito era il sogno proibito di tutte le povere fanciulle come me, creato dal più esperto dei sarti e composto interamente da un soffice tessuto che avrebbe fatto invidia alla più viziata nobildonna. Si presentava con un corsetto stretto fino alla vita e con un'ampia gonna lunga fino alle caviglie, l'oro era il colore predominante e i piccoli diamanti che lo ricoprivano interamente sembravano brillare di luce propria.

Sospirai e mi incamminai verso nord, ogni volta percorrevo una via diversa, ma il bosco sembrava essere un labirinto, non avevo mai trovato una via di uscita. La nebbia, inoltre, giocava a mio sfavore e mi impediva di vedere chiaramente dove stessi andando.

Quella volta, però, fu diverso. Continuando a camminare, giunsi in un luogo vagamente familiare e lo riconobbi grazie ai due grande abeti e alla capanna formatasi con il loro fogliame: il mio Locus Amoenus. Come ci ero finita lì?

«Non dovreste girovagare da sola nel bosco, qualche malintenzionato potrebbe importunarvi.»

Balzai all'indietro quando udii una voce sconosciuta e cupa. «Chi siete?», chiesi al vuoto, dato che non riuscivo a vederlo.

«Chi sono io? Dovreste saperlo.»

Dalla fitta vegetazione e dalla nebbia ormai posatasi sul suolo, intravidi una figura avanzare verso di me. La sua camminata era lenta e mi fece attendere con impazienza la sua comparsa.

Per la prima volta nel sogno compariva qualcuno, ero curiosa di sapere chi fosse, ma al contempo il cuore mi batteva all'impazzata; forse era paura, forse no. L'uomo, o meglio dire il ragazzo, si materializzò davanti a me come un predatore. Me lo trovai ad un palmo dal naso, quando pochi secondi prima era distante.

Trattenni il fiato e battei ripetutamente le palpebre, come aveva fatto ad arrivare così velocemente? Feci un passo indietro e lo osservai per bene, o almeno per quanto la poca luce proveniente da chissà dove me lo permettesse.

Era un giovane ragazzo dagli occhi scuri e capelli corvini, la serietà con cui mi fissava era agghiacciante e non seppi cosa fare o dire. La sua candida pelle era in simbiosi con la camicia che indossava, i semplici culottes, la privazione di corsetto e gli stivali a vita alta mi fecero intuire che -probabilmente- quel ragazzo non apparteneva all'alta società. Il suo aspetto era trasandato e il mantello che lo copriva quasi interamente sembrava essere logoro.

Fece un passo in avanti, ma lo fermai con una alzata di mano. «Non avvicinatevi.»

Gli angoli della bocca si alzarono verso l'alto, facendo assumere al suo viso un'espressione maledettamente affascinante. «Non ho intenzione di farvi del male.»

Incrociai le braccia al petto, «siete pur sempre uno sconosciuto. Cosa ci fate in questo posto?», era un bene portare avanti quella sottospecie di tragedia? Infondo era solo un sogno e a breve mi sarei svegliata.

«È di mia proprietà. Voi, piuttosto, come mai siete qui?»

Ero nella sua proprietà? «Io...», stavo boccheggiando, avevo paura di aver violato le sue terre. «È impossibile, siamo in un sogno!»

«Ne siete sicura?»

«Meredith svegliatevi, svegliatevi!», l'urlo di mia sorella Luna mi trascinò via e mi riportò alla realtà. Sgranai gli occhi e vidi il riflesso del mio viso nell'azzurro dei suoi. Il suo faccia era a pochi centimetri dalla mia e la sua squillante voce aveva la facoltà di svegliare un orso in pieno letargo. «È tardi, dovete alzarvi!»

«Sì, vengo subito», mi passai una mano sulla fronte, trovandola impregnata di sudore. Lei annuì e scese dal letto per saltellare verso la cucina. Ancora turbata e con leggeri giramenti di testa, mi alzai dal letto e sciacquai il viso con dell'acqua fredda. Mi tolsi la veste da notte, sostituendola con l'unico abito che possedevo da ben tre anni.

Con la mente offuscata e focalizzata ancora sul sogno fatto in nottata, mi avviai in cucina. Versai del latte nelle ciotole in legno e le posai sul tavolo per Willy e Luna. La foresta era davvero di proprietà di quel ragazzo? No, era impossibile, quello della scorsa notte era solo un semplice sogno, giusto?

«Madre», la chiamai, prima che uscisse per aiutare mio padre nei campi.

«Sì?»

«La foresta circostante è di proprietà di qualcuno?», chiesi con la curiosità di una bambina. Ipotesi alquanto assurda, ma avere una certezza non era mai un male.

Rimase in silenzio per qualche secondo, probabilmente non sapeva fornirmi una risposta certa. «No, ricordatevi che avete il divieto assoluto di entrarci», detto ciò, uscì di casa sbattendo la porta.

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