IV

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||Dal qui in poi vi sono pubblicati i capitoli non revisionati||

Rimasi ad osservare dapprima il cavallo bianco e poi l'uomo incappucciato. Tremavo dalla testa ai piedi e non capivo il motivo, probabilmente ciò era causato dalle sue parole: erano le stesse del sogno.

«Chi siete?», chiesi, seguendo il copione del sogno.

«Chi sono io? Dovreste saperlo.»

Per quanto fosse possibile, sbiancai ulteriormente; era un incubo, sicuro. «Mostratevi», ordinai.

L'uomo non si lasciò intimorire dal mio tono autoritario e scese dal cavallo, abbassando poi il cappuccio del suo manto. I suoi occhi, neri come la pece, furono l'unica cosa che riconobbi.

Il mio sguardo, poi, scese lentamente su tutto il suo corpo: gli stivali alti e neri, i pantaloni che venivano serrati sopra al ginocchio, la camicia candida. Feci un passo indietro e subito dopo un altro; avevo paura, troppa paura. «Non...non siete di queste parti?», chiesi, quando ricordai ciò che avevo ipotizzato nel sogno; i suoi abiti non riflettevano quelli della mia gente.

«Sono di queste terre, precisamente del nord e voi, dolce donzella, siete nel mio territorio.»

La serietà con cui pronunciò tali parole mi fece salire i brividi. Proprio come nel sogno, ma mia madre mi aveva detto che queste terre non appartenevano a nessuno. «Impossibile», bisbigliai e, in una frazione di secondi, me lo ritrovai a pochi centimetri dal mio viso.

«Mi state dando del bugiardo?»

Scossi ripetutamente la testa e cercai di indietreggiare ancora, ma mi bloccò, trattenendomi per le braccia. «Quindi ditemi, secondo voi cosa dovrei fare? Non sapete che è contro la legge oltrepassare terre private senza permesso?»

«Io...ve lo giuro su ciò che ho di più caro che non lo sapevo. Vi prometto che non verrò più qui e...», balbettai, ma mi bloccai quando il labbro cominciò a tremarmi dalla paura.

«Non abbiate paura, non voglio farvi del male», disse ad un soffio dalle mie labbra. Potei sentire il suo fiato a contatto con il mio viso e quasi ne rimasi estasiata. Chiusi gli occhi per una frazione di secondi, ma li riaprì subito.

Sentii le sue dita, ghiacciate come la prima neve invernale, toccare il mio polso e girarlo lentamente. I battiti del mio cuore correvano senza aver avuto un via da me e il respiro era irregolare. Lo vidi osservare con meraviglia la voglia che avevo e, la sua mano a contatto con la mia pelle bollente, mi fece arrossire.

Ero impotente dal sottrarmi al suo tocco. Mi affascinava tutto di lui, uno sconosciuto maledettamente intrigante. Quando riacquistai un po' di lucidità, feci per allontanarmi dalla sua presa, ma la sua forza era maggiore, tanto da spingermi contro di lui.

«Meredith...», sussurrò a fior di labbra. Stavo per morire seduta stante, non riuscivo a far nulla, se non spingermi ancora di più verso di lui.

Riuscii a malapena a sfiorare le sue labbra, morbide e fredde, che un ringhio ci fece voltare entrambi.

«Meredith sveglia! Dai su!!», urlò una voce.

Sgranai gli occhi e osservai mio fratello Willy. «Willy, santo cielo che ci fai tu qui?»

Inclinò il viso, «in camera nostra?»

«Cosa?», mi guardai intorno; non ero più nel bosco, ero a casa mia. Ciò significava che avevo sognato?

«Nostra madre è molto arrabbiata con te, è la seconda volta che non ti alzi e la aiuti.»

Lo feci scendere dal mio letto e mi cambiai velocemente, mi bloccai, però, quando vidi la collana di conchiglie sul bordo della finestra. La presi e la contemplai. Era certo, stavo sognando, ma mi sembrava tutto così realistico.

«Meredith! È la seconda volta che tardi, questa mattina non la passerai lisca, per colpa tua io e tua sorella abbiamo dovuto fare il doppio del lavoro!», mi urlò mia madre una volta arrivata in cucina.

«Mi dispiace», abbassai il viso.

«Non dispiacerti, ti abbiamo lasciato un bel po' di cose da fare, noi andremo al lago e passeremo lì la giornata.»

«E io? Madre sapete benissimo che amo andare al lago.»

«Mi dispiace, ma questa è la tua punizione.»

Infuriata come non mai, le diedi le spalle e mi avviai fuori, dove mi attendevano gli animali e le stalle. Quando stavo per andare verso il pollaio, vidi la mia famiglia uscire tutta allegra di casa e li maledissi mentalmente, sperando che venisse a piovere e che la loro passeggiata si interrompesse.

Feci mangiare i maiali e raccolsi il latte che precedentemente avevo versato nei secchi di ferro. Rientrai in casa e feci appena in tempo a berne un sorso, che vidi la mia famiglia rientrare di corsa in casa. Per poco non sputai tutto, «cos'è successo?»

«C'è il diluvio universale lì fuori», disse Harry.

«Siamo dovuti scappare dal lago, Willy, Luna venite qui ad asciugarvi o vi prenderete un malanno», aggiunse poi mia madre.

Mi avvicinai alla piccola finestra della cucina e vidi la pioggia. Mi meravigliai tantissimo, poiché in estate era improbabile che piovesse, ma ciò giovava ai lavori nel campo. In estate era molto difficile portare avanti il raccolto, c'era bisogno di costante lavoro per riuscire a non far essiccare le piantagioni. Mi venne in mente il mio sadico pensiero sulla pioggia e ciò poteva essere solo una coincidenza.

«Peccato, l'unico giorno dove potevamo stare tutti insieme e trascorrere una bellissima mattinata», borbottò mio padre e si sedette a tavola.

«Ci saranno sicuramente altri giorni.»

«Domani mattina devo andare in paese per vendere le botti di vino, Harry mi aiuti tu?», si voltò verso di lui.

«Certo padre, ci penserà George alla pesca.»

George, il secondogenito, si voltò verso lui. «Sai benissimo che sono una schiappa a pescare, ma ci proverò», disse alzandosi le maniche della maglia sporca.

«Padre posso venire anch'io in paese?», chiesi speranzosa. Non avevo mai visitato il paese, entrambi i miei genitori odiavano quel posto, ma ogni tanto ci andavano per vendere la lana, il vino, o la marmellata. Ero cresciuta con la conoscenza solo dei miei parenti ed ero desiderosa di incontrare altra gente.

«Perché vuoi venire? Non ti è mai piaciuto andare al nord della campagna.»

Improvvisamente ebbi una visione: il ragazzo dei miei sogni diceva di provenire dalle campagne del nord. Il paese non aveva un nome preciso, sapevo solo che era stato fondato più di trecento anni fa per fuggire da una fatale malattia. Inizialmente questo era composto da sei famiglie nobili che impaurite dal contagio, fuggirono per salvarsi (anche se il contagio arrivò fin qui) e, con il passare degli anni, quel piccolo villaggio si trasformò in un vero e proprio paese. Nessuno volle battezzarlo con un nome, preferivano dividerlo in nord e sud.

«Assolutamente no! Ricorda che sei ancora in punizione!», incalzò mia madre.

«In punizione per cosa? Per aver dormito qualche ora in più?», dissi spazientita.

«Non alzare la voce con tua madre, sai come funziona in questa casa e per tanto devi rispettare le regole.»

Diedi le spalle a mio padre e, senza dire nulla, andai in camera.

Spazio Autrice:
Lascio questo piccolo spazio autrice per una premessa: il paese in cui vivono i protagonisti è inventato, ciò significa che è un paese inesistente del mondo, ma che rispecchia gli stili di quei tempi (come il vestiario e le case contadine). Dato che è tutto inventato, ci saranno cose (o atteggiamenti) che non sono mai avvenute in passato, ho deciso di basare tutto sulla fantasia perché non sono esperta nell'ambito storico, ma mi piaceva basare la storia nel 1600 che è un secolo che mi piace.
Quando Meredith cita una fatale malattia, non è altro che la 'peste' diffutasi realmente nel 1300.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
-Angel❤️

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