LXXX

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«Adottare due bambini?! Santo cielo cosa udiscono le mie orecchie!», trillò Leila, alzandosi e cominciando a camminare per la stanza, per poi fermarsi improvvisamente. «Aspettate, non intendente due bambini qualsiasi, voi intendete quei bambini! È una cosa inaccettabile, William non approverà mai.»

«Ma voi vorreste?»

Abbassò il viso e sembrò rifletterci parecchio, «si, forse si.»

«Parlatene con William, sarebbe la soluzione per tutti: i bambini avrebbero una famiglia e voi avreste i figli che avete sempre desiderato.»

«Non è facile, Meredith, stiamo pur sempre parlando dei figli di Elena e Caleb. Probabilmente la bambina è una strega, mentre il bambino potrebbe essere un demone; non sono bambini normali.»

«Ed è proprio per questo che hanno bisogno di un ottima guida, si sentiranno soli ed incompresi.»

Sospirò, ma non disse nulla, poiché la porta si aprì ed entrarono Abel e William. Ridacchiavano tra di loro e mi chiesi se Abel ne avesse parlato. Conoscendolo, però, ero sicura che non aveva nemmeno accennato la situazione, poiché la riteneva inutile; voleva che quei bambini soffrissero per gli errori commessi dai genitori e una forte rabbia cresceva in me quando mi ripetevo la cosa.

«Quei biscotti hanno un aspetto delizioso, peccato che non posso mangiarli», borbottò William, avvicinandosi a Leila e stampandole un bacio sulla guancia, mentre lei si irrigidì.
Sapevo a cosa stesse pensando e potevo capire la sua ansia; anche lei aveva intuito che Abel non avesse detto niente al fratello.

«Che ne dite di andare un po' fuori?», propose Abel.

«C'è il sole», gli risposi, alzando gli occhi al cielo.

Puntò lo sguardo verso la finestra e sospirò, «per il bene di mio fratello e Leila, sarebbe opportuno rimanere qui.»

«Ma che mente brillante», ironizzò William.

«Possiamo sempre intrattenerci con giochi qui, all'interno.»

«Giochi?», chiesi, alzando un sopracciglio.

«Si, che ne dite di una bella gara di scacchi? Meredith, ricordate le regole del gioco?», si voltò verso di me.

«Si», ringhiai, stringendo i pugni. In quel istante, l'odio che provavo per lui era insopportabile. La sua strafottenza mi faceva salire il nervoso. «Iniziate pure, torno subito», uscii dalla stanza a passo spedito e mi diressi verso le cucine.

Lì trovai Luise, insieme ad altre due donne, come sempre indaffarate. «M-Maestà? Ci perdoni per il disordine, non sapevamo di una vostra possibile visita!», balbettò una donna a me sconosciuta, reggendo pesanti teglie di ferro.

Mi avvicinai immediatamente a lei, prendendo al volo la parte che rischiava di cadere, «non preoccupatevi, sono qui per puro caso», dissi, posando le teglie sul bancone di legno.

«G-Grazie mille, non dovevate», abbassò il viso.

«Ma volevo», le sorrisi, voltandomi poi verso Luise. «Luise, avete ancora quei deliziosi biscotti al cioccolato?»

Lei annuì, sorridendomi e prendendo un barattolo di vetro colmo di quei biscotti. «Quanti ne volete, Maestà?»

«Mmm...per ora prendo l'intero barattolo, ho una strana voglia di cioccolato», ammisi, facendole abbasare il viso e ridacchiare.

Presi il primo biscotto ed iniziai a mangiarlo. Ero arrabbiata per Abel, ma anche triste perché non voleva aiutarmi. Ero felice perché Leila era qui, ma anche nervosa perché non sapevo se avrebbe accettato di tenere i bambini.

«Ahh, sto per esplodere!», urlai agitando il biscotto in aria e decidendo di andare in camera per darmi una rinfrescata. Arrivata in bagno, misi l'acqua nel lavabo e, un attimo prima che immergessi le mani, scoppiai a piangere.
Perché stessi piangendo? Nemmeno io sapevo la motovazzione.

Mi sciacquai il viso e tornai in camera, sedendomi sul bordo del letto e tenendo in grembo il barattolo, mentre singhiozzi mi facevano vibrare il petto. La porta si aprì ed entrò Abel. «Vi stiamo aspettando per la gara... perché state piangendo?»

«V-Vattene», singhiozzai, mordendo il biscotto.

Si avvicinò a me, abbassandosi sulle ginocchia per arrivare alla mia altezza. «Ripeto: perché stata piangendo?»

«Ripeto: vattene.»

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e non alzandosi. «Siete in collera con me? Vi ho fatto un torto?»

Me lo chiedeva come se nulla fosse? Ciò non fece che aggravare la situazione, spingendomi ad urlare: «Va via!»

Si alzò, confuso da quella mi reazione ed indietreggiò. «Io...non so che fare.»

Mi lasciai cadere sul letto e affondai il viso nel cuscino. Sentivo qualcosa di strano in me, sentivo emozioni di ogni genere e poi, uno bussare alla porta.
«Meredith, che succede?», entrò Leila. «Abel ha detto che siete impazzita.»

«Non sono impazzita», sbottai, alzando ancora una volta il busto, facendola sorridere.

«Sbalzi di umore?»

«No! Mi fa rabbia la sfaccettatura di Abel, sono triste perché non mi capisce!»

«Cosa dovrebbe capire?»

«Dovrebbe capire che io non sono come lui, non riesco a gettare fango sulla gente, soprattutto sui bambini.»

Si avvicinò e mi strinse tra le braccia, «su, basta piangere. Andate da Abel e chiarire la cosa, non sa gestire gli ormoni di una donna incinta.»

«Non c'è niente da chiarire, deve capirlo da solo.»

«Io e William dobbiamo andare, gli parlerò del piccolo problema e sappiate che farò tutto in mio dovere per tenerli con noi. Come avete già detto, sarebbe la soluzione per tutti, soprattutto per me. Avrei una famiglia, l'uomo che amo e una casa bellissima, cosa posso chiedere di più?»

«Fatemi sapere tramite le lettere», mi asciugai le lacrime secche.

Annuì ed uscì dalla camera, mentre io tornavo a stendermi sul letto. Cadendo in un sonno, colmo di solo incubi.

Spazio Autrice:
Capitolo 80, non posso crederci😱
Scusate se non è proprio il top, ma serviva.
-Angel ❤️

Sentimenti OscuriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora