XIV

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Abel rientrò dopo poche ore dal tramonto, i libri che mi aveva dato erano ancora posti sul tavolo in legno, dove li aveva lasciati.

Ero in imbarazzo a svelargli la verità, ma lo dovevo fare, in un modo, o in un altro. Sapeva che provenivo da una famiglia di contadini, ma non sapevo fino a che punto mi avrebbe accettata. Ci riflettei un attimo sulle parole pronunciate dalla mia mente, non mi interessava affatto il suo parere, ma mi ritrovai a chiedermi nuovamente la stessa cosa.

Quando entrò nella mia stanza sorrise e si avvicinò a me. «Buonasera, come avete passato questa splendida giornata?»

A cercare una via di fuga, era la risposta, ma dissi:«è stata proprio una bella giornata.»

«Perfetto», lanciò un pezzo di legno nel camino spento, non cogliendo la mia ironia. «Dovete essere in forza per domani sera, ci sarà una cerimonia.»

Aggrottai la fronte, non sapevo cosa fosse una cerimonia. «Una...che?»

«Una cerimonia, per presentarvi alla mia gente.»

Mi alzai di scatto da letto, «quale gente? Cosa state dicendo?»

«Siete il mio legame e vi presenterò al popolo di cui possediamo le terre.»

Sembrava tranquillo, tant'è che si sedette sul divano e alzò le maniche della camicia che indossava. Improvvisamente iniziò a girarmi la testa, l'aria mi mancava e chiazze nere occultavano l'arredo della camera. Mi appoggiai al tavolo con su i libri e non fiatai, vedevo la via di fuga sempre più lontana e ciò non lo sopportavo. Odiavo restare chiusa in camera e se quello fosse stato il mio futuro, preferivo morire.

«Vi sentite bene? Avete un viso pallido», si alzò con un viso particolarmente preoccupato. Quella espressione non gli donava.

«Io...si, tutto bene.»

«Volete un bicchiere di acqua?»

Annuì con ancora le vertigini e, senza nemmeno chiamare quella povera ragazza, andò lui di persona a prendermi dell'acqua. Mi sentivo male, le forze mi vennero meno, ma quando notai che aveva lasciato la porta aperta, non ci pensai due volte
a correre via.

Non sapevo dove stessi andando, non trovai delle scale e non ricordai perfettamente la via che mi portava al salone e quindi al pieno terra. I corridoi erano deserti, ma non appena vidi delle guardie dicisi, anziché scendere, di salire. La mia idea era quella di rifugiarmi sul tetto e di scendere nel pieno della notte. Idea alquanto stupida, ma presa da quell'attimo di panico, non ci pensai più di tanto.

Corsi per il corridoio adiacente a quello in cui ero e trovai delle scale che mi condussero sempre più in su. Quando raggiunsi l'ultimo gradino, uscì all'esterno e finalmente potetti respirare l'aria fresca e il tepore caldo dell'estate. Notai che vi era un piccolo spazio, prima di arrivare alla scesa del tetto.

Camminai per quella balconata in muratura e mi fermai solo quando giunsi ai margini. Inclinai il busto verso l'esterno e, oltre ai mattoni che componevano il tetto, vidi solo vuoto.

Avevo tantissima paura e l'adrenalina in corpo non mi permetteva di restare ferma nemmeno un secondo, capì che avevano scoperto la mia fuga dal trambusto che sentii all'esterno. Vidi guardie correre al di fuori del castello e tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che nessuna di loro aveva pensato che fossi ancora lì.

Guardai nuovamente verso il basso e, per un solo secondo, la voglia di buttarmi ci fu. Mi sedetti sul margine ed attesi qualcosa che sicuramente non sarebbe arrivata: la mia libertà.

Ero arrivata fin lì e poi?

Vidi un gufo poco distante da me, adoravo quelle piccole creature della notte, ma lanciai un gridolino quando, volando, mi venne incontro e poi volò via. Sembrava quasi mi stesse attaccando, invece mi sbagliavo.

Mi portai una mano sulle labbra, sperando che nessuno mi avesse sentita, ma la mia speranza venne spezzata quando sentì il rumore di passi e subito dopo vidi lui: Abel.

«Siete qui, dunque», il suo sguardo non perdonava, inquietava parecchio.

«Non avvicinatevi, o giuro che mi butto giù», lentamente mi alzai in piedi e cercai con tutta me stessa di non guardare giù. «Lasciatemi andare e la vostra anima sarà priva di peccato.»

«Quale peccato?», per la prima volta alzò un sopracciglio e sorrise beffardo.

«Il peccato di avermi condotta al suicidio!»

«State tranquilla, la mia anima è già apposto, finitela di comportarvi come una bambina e venite immediatamente qui. Non vi libererò mai e questo voi lo sapete benissimo, siete passata alle minacce per cosa?»

«Non verrò, io non sono vostra e mai lo sarò», le lacrime giunsero velocemente e iniziai a vederlo sfocato. «Voglio...voglio rivedere la mia famiglia e..», tentennai leggermente a causa dei continui singhiozzi.

«È la paura che vi fa parlare, non siete più in casa vostra, siete con persone a voi sconosciute, dovete soltanto abituarvi.»

«Non voglio abituarmi a nulla, voi non siete nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare, mi dovete lasciare in pace!», urlai con il fiato che avevo in corpo. Nascosi il viso dietro le mani e fui colpita da un potente sbalzo che fece vibrare l'intero corpo, tanto da spingermi indietro.

Urlai nel momento stesso in cui metà del mio corpo sentì il vuoto, ma velocemente due braccia forti avvolsero la mia vita e mi tirarono su come se il mio peso equivalesse a quello di una piuma.

Le mie gambe tremavano e fui costretta ad accasciarmi a terra, ma solo dopo mi resi conto che non ero l'unica a star a terra; ero tra le braccia di Abel e in quel momento avevo bisogno di qualcuno che mi reggesse.

Continuai a piangere come se quello fosse stato l'ultimo giorno della mia vita, singhiozzai rumorosamente, ma con lui non avevo alcun contatto, se non il suo braccio ancora attorno al mio bacino.

Sentii quest'ultimo salire lentamente verso le spalle, per poi spingermi verso il suo petto e avvolgermi del tutto, anche con quello libero. Piansi sulla sua spalla, mentre lui mi accarezzava i capelli delicatamente.

«Vi permetterò di vedere la vostra famiglia, se è ciò che desiderate e avrete la vostra libertà, ma non posso assolutamente lasciarvi andare. Vi spiegherò tutto con calma, ma non azzardatevi mai più a fare una cosa del genere.»

Detto ciò rimase in silenzio, mentre io cercavo ancora di riprendere la lucidità ormai perduta.

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