Capitolo 9.

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<<Ci siamo quasi, un attimo che tiro fuori le chiavi di casa.>> mi disse Niccolò una volta che eravamo arrivati davanti alla porta della sua abitazione.
Come risposta ebbe solo un mio mugugno dato che la mia gamba faceva troppo male per potermi lasciar anche solo parlare.

Mentre girava le chiavi nella serratura, alzai lo sguardo verso la casa accanto alla sua, ovvero la mia e in particolare mi soffermai nell'angolo del mio balcone della mia stanza, e mi resi conto che era davvero strano il fatto che solamente la scorsa sera io mi trovavo sul  terrazzo di Niccoló e che la mattina seguente ero proprio dentro casa sua.

<<Prego, entra.>> disse poi lui riportandomi alla realtà.
<<Grazie.>> risposi e basta cercando di entrare dentro quella casa senza barcollare troppo dal dolore.

<<Allora...>> inizió Niccoló mentre si chiudeva la porta alle spalle e mi guardava attentamente come se il suo sguardo fosse l'unico a tenermi in piedi e se l'avesse distolto, io sarei caduta a terra.

<<Dato che, da quel che ho capito, la gamba ti fa troppo male, direi che tu te ne stai qui buona buona distesa sul divano, io salgo di sopra a prendere la cassetta del pronto soccorso e vediamo cos'hai alla gamba, okay?>> mi propose poi.

<<Nick, ma guarda che non c'è bisogno che fai tutto questo per me, casa mia é proprio qui accanto, possono medicarmi lì.>> spiegai subito arrossendo per l'imbarazzo dato che stavo pesando troppo su di una persona che avevo appena conosciuto.

<<Lo faccio con piacere, davvero, nessun disturbo.>> rispose lui sorridendomi mentre si toglieva gli occhiali da sole che aveva agli occhi.
<<Torno in un lampo.>> aggiunse salendo poi al piano superiore.

Eccoti qui, Caren, nella cosidetta "Tana del lupo".
Ma Niccoló era davvero un lupo? Chi era in realtà quel ragazzo? Sapevo che c'era dell'altro, me lo sentivo.
Quel ragazzo mi teneva qualcosa nascosto e io avevo una voglia matta di sapere cosa fosse.

Volevo sapere tutto di lui e sentivo che anche lui voleva sapere tutto di me... solamente che io ero stata troppo delusa dalle persone da sempre e avevo ancora troppa difficoltà nell'aprirmi e così finimmo in quella spiaggia a parlare, prima che la mia gamba si facesse sentire, solamente di lui.

Mentre attendevo il ritorno di Niccoló, la curiosità di conoscere quella casa, cresceva in me e così mi alzai facendo il meno rumore possibile e stringendo i denti dal dolore a quella maledetta gamba ed entrare in quella che era la cucina dopo il salotto.

Mi avvicinai nella zona cottura per appoggiarmi e mi accorsi che accanto ai fornelli, vi era un porta coltelli e che sul serio, Niccoló, possedeva coltelli con degli animaletti disegnati sopra e la cosa mi fece sorridere e ridacchiare fra me e me.

<<Non ci credevi alla storia degli animaletti sui coltelli, non é vero?>> mi domandó d'un tratto una voce facendomi ritornare alla realtà.
Alzai gli occhi e vidi proprio Niccoló che appoggiava la scatola del pronto soccorso sul tavolo di quella cucina.

<<Diciamo che ero un po' diffidente.>> risposi ridacchiando mentre mi avvicinavo a lui zoppicando.
<<Fammi vedere cos'hai qui, Wendy.>> disse sorridendo mentre mi faceva sedere sopra al tavolo della sua cucina mentreui si sedeva su di una sedia di fronte a me.

<<Come mi hai chiamata?>> domandai trattenendo una innocente risata.
<<Wendy.>> rispose con non chalance come se avesse detto la cosa più normale che potesse esistere al mondo.
<<Perché?>> chiesi io mentre mi faceva segno di provare ad allungare la mia gamba.

<<È una cosa mia.>> rispose solamente dopo avermi alzato leggermente il leggings nero della gamba destra.
<<Chiami tutte Wendy?>> lo punzecchiai.
<<Quali tutte? Per chi mi hai preso, Caren?>> rise lui mentre prendeva della garza e disinfettante.

<<Qui vedo una bella slogatura e un taglietto alla caviglia, ma cosa hai combinato, bambina?>> mi chiese ancora lui.

In quella situazione lo vidi un po' strano, mi sembrava più misterioso del solito.
Il fatto che mi aveva chiamata col nome Wendy o "bambina".
Sembrava sul serio che avesse a che fare con una bambina in quel momento; anche il suo tono di voce era diverso, più tranquillo, più pacato, più dolce.

La delicatezza infinita che aveva nel toccarmi la caviglia era qualcosa di sconvolgente, nemmeno mia madre aveva quella finezza quando mi facevo male da piccola e mi medicava proprio come stava facendo lui in quel preciso momento.

<<Ti faccio male?>> mi chiese poi riportandomi alla realtà.
<<Scherzi? Fra un po' sento addirittura solletico.>> risposi sorridendogli.
<<Sei un infermiere per caso? O lavori con i bambini! Ho indovinato!>> aggiunsi esclamando.
<<No, no, niente di tutto questo.>> rispose lui ridendo mentre tagliava la fasciatura in eccesso e la riposava nella cassetta del pronto soccorso aperta.

<<Allora, adesso provi ad alzarti e mi dici come ti senti la fasciatura, se troppo larga o troppo stretta.>> disse poi non lasciandomi il tempo di rispondere altro.
<<Okay.>> risposi sospirando pronta a scendere da quel tavolo.

Scesi lentamente e mi accorsi che tutto il dolore che sentivo prima che Niccoló sapesse della gamba, era per lo più svanito e mi resi conto che forse il lavoro di quel ragazzo poteva essere un mago o qualcosa legato alla magia perché altrimenti non riuscivo davvero a capire come potesse essere sparito quel dolore assurdo dalla mia gamba con un semplice suo tocco.

<<Allora?>> mi chiese facendomi scendere dal paese delle nuvole.
<<È... È perfetta, non so come tu abbia fatto, ma non sento più nemmeno tutto quel dolore che sentovo all'inizio.>> risposi leggermente stupefatta.

<<Meno male, lo speravo sai. Rischiavi di finire in ospedale e di rovinarti una vacanza stupenda.>> disse lui tirando un sospiro di sollievo.
<<Non so come ringraziarti.>> gli risposi ancora senza parole.

<<Puoi sdebitarti uscendo con me, sempre se ti va.>> propose lui spavaldo.

Mi aveva appena chiesto un appuntamento per caso?

...

Comunque vada, con te. ||Ultimo||Where stories live. Discover now