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Jimin ancora dormiva quando un raggio di sole decise di interrompere il suo sonno portandolo a svegliarsi a causa della luce.
Mugugnò infastidito prima di decidersi ad alzarsi, se prima non amava andare alle prove della compagnia, ora senza Alexandre sarebbe stato anche peggio. 
Amava ballare, sentiva che sarebbe morto nel caso fosse stato impossibilitato a farlo, ma allo stesso tempo odiava tutto ciò che girava attorno all’essere un ballerino e che, solitamente, non aveva nulla a che fare con i passi di danza che tanto amava fare.
Andò verso il bagno per rinfrescarsi per poi scendere a fare colazione. 

«Buongiorno Jimin» si sentì salutare appena finito di scendere le scale, trovandosi il suo fratellastro, Seokjin, già impeccabile di primo mattino. 
«Buongiorno Jinnie» rispose con un tenero sorriso, l’unica bella persona rimasta nella sua vita era proprio lui, magari non erano fratelli di sangue, ma per loro era come se lo fossero, erano l’uno la roccia dell’altro, intrappolati entrambi in vite che non sentivano loro e, apparentemente, senza vie d’uscita.

Seguì il fratello nella sala da pranzo trovandovi già i loro genitori ad attenderli come ogni mattina. «Buongiorno madre, buongiorno padre» fece un leggero inchino per poi sedersi, ricevendo un freddo sorriso dalla propria madre e un cenno del capo dal suo patrigno impegnato a leggere il giornale. 
«Guarda che disastro, la compagnia di Balletto sta proprio andando a rotoli, di questo passo dovremmo davvero considerare il tuo trasferimento a San Pietroburgo» esclamò il padre di punto in bianco e subito Jimin si irrigidì a quelle parole. 

Non voleva lasciare la compagnia, per quanto non andasse pazzo per buona parte dei ballerini con cui doveva avere a che fare, era comunque affezionato alla sua compagnia, essendo praticamente cresciuto in quel posto. In più andare in Russia voleva dire abbandonare Seokjin in balia dei loro genitori e questo non lo poteva permettere. Per quanto potesse risultare inutile voleva preservare l’animo gentile del fratello dalle mani approfittatrici dei suoi parenti, che non vedevano l’ora di accoppiarlo con qualche giovane e ricca donna francese per poterlo poi manipolare a loro piacimento. 

Seokjin non era certo uno stupido, lo sapeva anche lui come stavano le cose e certo non ne era felice, solo si sentiva troppo debole per anche solo tentare di controbattere il volere dei suoi genitori e questa poca stima di sé era causa loro, che lo tenevano come rinchiuso in una bolla. L’unico a trattarlo come un adulto era Jimin, che gli portava anche tutti i libri con cui Seokjin si dilettava, essendo l’unico svago concesso nella sua vita. 
Ogni giorno aveva il permesso di uscire per qualche ora per poter raggiungere un parco poco frequentato vicino alla loro abitazione dove, negli anni, Jin aveva trovato il posto perfetto per le sue ore di lettura, ovvero una panchina sotto un salice piangente, accogliente e riparato, il suo piccolo posto felice in una vita che non lo era molto.

«Padre ve ne prego, sono certo che le cose si sistemeranno al più presto, in più sarebbe una spesa non indifferente da affrontare» Jimin provò l’opzione dei soldi che, quasi sempre, funzionava molto bene come deterrente per certe scelte.
Quasi sempre, a meno che non vi fosse in gioco la possibile “fama” di Jimin e cioè la sua possibilità di diventare étoile, aspetto che non aveva considerato mentre tentava di far desistere il padre. 
«Mi stupisco della tua stupidità, se la compagnia continua così le tue possibilità di diventare primo ballerino diventeranno inesistenti e noi non vogliamo questo vero Jimin?» sbattè il pugno sul tavolo e guardò il figlio che aveva osato rispondergli con uno sguardo infuocato di rabbia. 

Jimin abbassò lo sguardo impaurito, era stato sconsiderato rispondergli, avrebbe dovuto impararlo dopo tanti anni, invece ancora oggi si ritrovava a parlar troppo, per poi subirne le conseguenze.
«Vedo che la punizione dell’altro giorno non ha lasciato bene il segno il quella tua maledetta testolina, hai bisogno di una rinfrescata per caso?» alzò ancora la voce l’uomo facendo tremare anche Seokjin, pur non essendo il centro della rabbia del padre, lui quella rabbia non l’aveva mai sperimentata, ma le urla di Jimin la notte le sentiva bene e ogni volta erano sempre più strazianti. 
«Caro non è il momento, deve andare alle prove ora» intervenne la moglie, non tanto per salvare il figlio, quanto più per evitare domande che dei lividi evidenti avrebbero portato. Il padre sbuffò tornando al suo giornale e Jimin dopo poco si alzò per poter uscire da quella casa che per lui era il suo incubo giornaliero.  

Nous SeronsWhere stories live. Discover now