34. Ho pensato a tutto

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Jeon Jeongin si trovava nel suo studio a sistemare le ultime scartoffie che gli sarebbero servite per la riunione mensile che era stata programmata dal Re. Ormai le cose nel Regno erano abbastanza tranquille dato che la minaccia più grande, Park Jimin, era stata fermata in tempo. I consiglieri non avevano detto a nessuno che il Regno era stato vicino all'andare in guerra, così da non allarmare il popolo.

Nonostante questo fosse ormai risolto, Jeongin era pieno di preoccupazioni. Venire a conoscenza del fatto che la sua famiglia fosse minacciata dal marito della sua stessa figlia non fu certo una lieta notizia. Più volte si maledisse di aver dato in sposa la sua piccola Jein ad un uomo come lui e avrebbe tanto voluto che sua figlia non aspettasse un bambino proprio da quest'ultimo. E, come se questo non bastasse, adesso Hojun aveva iniziato a minacciare anche l'altro suo figlio.

Sebbene avesse risolto anche quest'ultima faccenda e fosse sicuro che le sue guardie avrebbero fatto un ottimo lavoro per tener d'occhio Hojun, Jeongin non poteva ritenersi del tutto tranquillo. A preoccuparlo rimaneva Jungkook e la sua totale indifferenza verso l'incarico che tra soli pochi mesi sarebbe stato suo. Voleva un gran bene al figlio e quindi desiderava per lui la miglior vita possibile ma, in quanto nobile, non poteva ignorare i vari doveri che era tenuto a rispettare. Voleva che Jungkook conoscesse l'amore e ne ricevesse indietro, ma voleva anche che non si scordasse di ciò che era chiamato a fare in futuro. Lui sarebbe stato l'erede della sua sedia d'argento e, volendo o non volendo, avrebbe dovuto portare avanti il suo cognome e, in quest'equazione, il ragazzo che si nascondeva nel bosco non ne faceva parte.

Non voleva vedere suo figlio soffrire, per questo aveva deciso che non avrebbe messo bocca nella sua vita sentimentale per tutti quei nove mesi che ancora li separavano dal momento in cui aveva detto a Jungkook che avrebbe dovuto sposarsi. Superato quel termine, però, sarebbe intervenuto lui a qualunque costo.

Sentì bussare alla sua porta e, dopo aver dato il permesso di entrare, una guardia apparve davanti a lui e si inchinò per rispetto.

-"Buongiorno Signore, volevo informarla che abbiamo seguito Kim Hojun questa mattina fino ai confini del Regno dei Park. Lì abbiamo dovuto fermarci perché non ci hanno fatti passare."- Lo aggiornò.

-"Vuoi dire che invece Kim Hojun è riuscito ad andare nel Regno dei Park?"- Chiese Jeongin.

-"Sì Signore, abbiamo chiesto alle guardie del confine e hanno detto che erano state avvisate del suo arrivo e che era stato invitato da qualcuno all'interno del palazzo Reale. Non sappiamo altro."- Gli spiegò la guardia.

-"Ok, grazie mille. Puoi andare e continuate a tener d'occhio quel ragazzo non appena metterà di nuovo piede in questo Regno."- Ordinò Jeongin e fece cenno all'uomo davanti a lui di uscire dal suo studio.

Appena fu solo, iniziò a pensare al perché qualcuno del Regno dei Park potesse desiderare un incontro con Hojun e non gli venne in mente niente se non un nome, un nome che non prometteva niente di buono: Park Jimin.











-"Principe Park il suo ospite è arrivato."- Lo informò un uomo della servitù.

-"Tsk, Principe ... fino a qualche giorno fa mi chiamavi Re."- Disse Jimin mentre si avvicinava fin troppo a quel pover'uomo che lo stava guardando terrorizzato. –"E non osare guardarmi un'altra volta negli occhi, ricordati che non sei nessuno."- Aggiunse. –"Comunque fallo entrare."-

Da quando aveva perso il trono aveva cominciato a trattare le persone intorno a lui ancora peggio, sfogava la sua rabbia e la sua irritazione su chi lavorava a palazzo e che quotidianamente era chiamato a servirlo. Non aveva più il potere decisionale su tutto il popolo, ma i suoi servitori poteva gestirli nel modo che più gli piaceva, quindi alcune regole erano rimaste. Per esempio nessuno doveva guardarlo negli occhi a meno che non fosse lo stesso Jimin a permetterlo.

Silver Chair ~ [Taekook]Where stories live. Discover now