Capitolo 11 parte 3

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La lezione successiva furono due di laboratorio di microbiologia.

Per somma sfortuna si trovava a due piani sotto il nostro e per questo dovetti fare il breve viaggio in ascensore con il prof di laboratorio, un tizio di mezza età che occupava gran parte dello spazio ristretto.

Avvertì prima che le porte si chiudessero i mormorii dei miei compagni che affermavano che avevo scelto la via preferenziale e comoda, come se non fosse la sola cosa che potevo fare per muovermi da un piano all'altro. E comunque avrei fatto più che volentieri a cambio per non soffrire. Non ero mai stato claustrofobico ma vicino al mio prof avvertivo abbastanza la carenza di aria e spazio.

Quando finalmente giungemmo a destinazione, e dopo notevoli atti respiratori per riprendermi, mi avvicinai agli altri che sembravano aspettarci da un pezzo. Le cose erano due, o l'ascensore era troppo lenta oppure loro avevano inventato una qualche forma di teletrasporto. Il prof si posizionò di fronte a noi e con fare pratico illustrò brevemente quello che dovevamo fare, o meglio che gli altri dovevano finire e che io avrei dovuto cominciare da zero.

Era semplice a dire il vero, dovevamo posizionarci alle nostre postazioni munite di microscopi e avremmo dovuto analizzare sotto la lente diversi vetrini su cui erano poggiati dei tessuti umani e riportare come disegno quello che vedavamo su un quaderno. A parte che ero una frana colossale a disegnare, il vero problema era un altro.

Un insignificantissimo particolare.

I banconi erano più alti della mia altezza da seduto sulla sedia a rotelle e a meno che non avessi sviluppato la capacità di fluttuare per aria avrei avuto sincere difficoltà a svolgere questa esperienza.

E quando lo feci presente al prof lui si limitò a una semplice alzata di spalle e si allontanò per raggiungere l'estrema parte del laboratorio.

Dico, ma che cazzo di problemi aveva?
Non era il suo lavoro aiutarci a risolvere questi problemi pratici? Che poi mica era colpa mia se i banconi erano troppi alti.

«Se vuoi puoi fare coppia con me» s'intromise la voce irritante del mio compagno di banco, che da bravo violatore di privacy aveva origliato tutto.

Mi voltai e feci per rispondergli un rispettosissimo "Fatti i cazzi tuoi" ma mi fermai appena in tempo. In effetti stare in coppia con qualcuno non era poi così male come idea, ed ero certo che Quattrocchi (si, l'avrei chiamato così da quel momento in poi) sarebbe stato l'unico a farsi avanti e a volermi come compagno.

Che problemi. Ed eravamo solo a metà mattinata. Ma quando sarebbe finito questo schifo di giornata?

Di malavoglia mi affiancai a Quattrocchi che subito con la sua aria da secchione si mise al lavoro.

Passai le due ore più noiose di tutta la mia vita.

Quattrocchi era un continuo aprirsi in esclamazioni di meraviglia quando guardava un vetrino e poi subito si catapultava a disegnare quello che vedeva. Dato che osservarli al microscopio mi era precluso per problemi tecnici, perché farmelo appoggiare sulle gambe per vedere qualcosa doveva essere eresia per il prof, allungavo il collo per poter sbirciare sul suo quaderno che veniva trattato manco fosse una sacra reliquia.
Ma allora per che cazzo mi aveva chiesto di fare coppia con lui? Per fare il palo che moriva di noia?

Fui lesto a prenderlo quando lui si distrasse per andare alla ricerca di vetrini ancora da vedere e constatai che era dotato di un'abilità nel disegno pari alla mia...che era praticamente nulla. Difatti a me non parevano altro che scarabocchi mal riusciti e del tutto incomprensibili.

Lo rimisi a posto deluso mentre Quattrocchi tornava al mio fianco con tranquillità per analizzare un altro vetrino.

A fine dell'ora il prof annunciò che la settimana dopo avrebbe fatto una verifica di riconoscimento di questi vetrini.

È Tutta Una Questione di ChimicaWhere stories live. Discover now