Capitolo 37 parte 2

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«Siiiii Acquarioooo!»

Maiko era talmente entusiasta che, ero certo, le sue esclamazioni felici le avrebbero sentite fino all'altra parte del mondo, saltellando nel suo vestito rosso e nero a balze sotto un cappotto in panno e su un paio di calze di lana. Eravamo a febbraio inoltrato e non c'era stato verso a convincerla a vestirsi in modo più pesante per proteggersi dal freddo. Al contrario, anche se soffrivo il caldo (per me infatti l'estate era una sofferenza), avevo freddo, il fiato creava una leggerissima condensa trasformando l'aria espirata in una nuvoletta lieve.

L'Aquario era una pietra miliare della città, meta conosciuta da tutti i turisti, mi sembrava assurdo che noi nostrani ci andassimo così poco, solo che il prezzo biglietto non era poi così permissivo, per questo da bravi genovesi a questo ci davamo un occhio di riguardo.

Però i fratelli Vinciguerra avevano bisogno di un momento di svago e insomma diciamocelo, chi non trova l'Acquario la meta ideale?

Era un edificio non troppo alto sul blu che dava direttamente sul porto, affiancato da una grossa cupola, la Biosfera in cui era racchiusa una versione ristretta di un ecosistema di tipo tropicale.

Ci avviammo verso la biglietteria, di fronte a noi c'era una comitiva di sette asiatici, che dal loro parlottare non mi sembravano giapponesi ma cinesi, una coppia che sembravano dell'Europa dell'est forse russi dai capelli biondi chiari e carnagione pallidissima e una famiglia costituita da genitori, una bambina d'età da asilo e uno piccolino sul passeggino circa al primo anno di vita compiuto. Questi ultimi erano vestiti con abiti da lavoro, i loro volti stravolti testimonavano una certa dose di stanchezza eppure si vedeva che erano contenti di stare con i loro figli. Quello che sembrava più giovane, forse per l'assenza di barba, si chinò per arruffare i capelli al piccolino nel passeggino che cominciava a mostrare cenni di insofferenza visto che la coda non stava proseguendo.

A quella vista ebbi un moto di tenetezza.
La comitiva di asiatici aveva bloccato la fila, tempestando di parole incomprensibili la povera ragazza alla biglietteria, visibilmente in difficoltà messa sotto torchio. Ma quanto ci voleva a pagare sette biglietti? Non avevo voglia di passare l'intera giornata in coda, non era una delle mie massime priorità della vita.

Il bambino cominciò a piangere come un disperato e il povero uomo si affrettò a prenderlo in braccio per tranquilizzarlo.
Forse aveva cominciato a farlo per altri motivi (i bambini erano un vero mistero, a volte mi inquietavano quando si mettevano a osservarti), ma qualcosa mi diceva che il pianto era dettato dall'esasperazione, e anche la sorella cominciò a dare segni di irrequietezza, aggrappata alle gambe dell'altro papà.

Fu anche per quello, oltre che i miei nervi salvati, che mi convinsi ad affacciarmi dalla fila e ad agitare un pugno verso la comitiva. Erano già venticinque cazzo di minuti di coda che si sarebbe potuta risolvere in massimo in cinque, per esagerare.

«Ma ci vogliamo dare una mossa?» domandai in loro direzione, e questi mi sa che capirono nulla di quello che dissi. Credo che avrei fatto la loro stessa espressione se avessero detto qualcosa in cinese.

La coppia di russi mi fissò. I componenti della famiglia davanti mi fissarono, il bimbo smise di piangere, cominciando a ciucciarsi il pollice. I chiamati in causa mi fissarono straniti. Quasi potevo leggere nei loro pensieri il dubbio del motivo per cui uno strano tizio gli aveva urlato contro.

Akira e Maiko mi osservarono colti alla sprovvista, non aspettandosi quella presa di posizione da parte mia.

«Comprate questi cazzo di biglietti o se avete problemi fate passare chi vorrebbe entrare e non invecchiare davanti all'ingresso» continuai ormai sull'orlo dell'esasperazione. Erano anni che non andavo all'acquario ma non ricordavo di aver penato così tanto ad acquistare il biglietto, manco il giorno in cui c'era lo sconto d'entrata per i residenti.

È Tutta Una Questione di ChimicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora