Capitolo 28

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Si fermò con l'auto di fronte al suo portone, le mani strette sul volante e il respiro apparentemente tranquillo. In verità sapevo che quella era tutta finzione.

Per tutto il tragitto eravamo stati in silenzio, io a cercare di metabolizzare quello che avevo fatto, lui di certo quello che mi avrebbe rivelato di lì a poco.

Ero nervoso, anche se non ne avevo motivo. Molti segreti che aleggiavano nell'oscuro passato di Akira quel pomeriggio sarebbero emersi e, finalmente, messi a quietare.

Ero riuscito a strappare la promessa ad Akira di rivelarmi tutto facendo ricorso a tutto il mio charme e la minaccia di baciarlo in pubblico. Quest'ultima doveva essere solo in leggero scherzo per alleggerire la situazione ma, anziché suscitare la reazione voluta, era impallidito di colpo, difficile per la sua carnagione già pallida, e per questo mi preoccupai non poco.

Forse era per questo che, alla fine, aveva ceduto con un sospiro.

Prima di dirigerci verso casa sua avevo chiamato un attimo mia madre, visto che aveva provato a contattarmi almeno una ventina di volte.

L'avevo trovata con sorpresa a casa, cosa che non accadeva mai visto che di solito a quell'ora stava in giro in compagnia delle sue amiche,  preoccupatissima per la mia uscita in bellezza da scuola (la segreteria non poteva un po' farsi gli affari suoi?)

Le avevo rifilato così una scusa talmente patetica da farmi sentire un'idiota e per evitare domande scomode pilotai la conversazione su Akira, affermando che in quel momento ero in sua compagnia, tralasciando volutamente il fatto che ne ero talmente  attratto che me lo sarei scopato anche in quel monento (no, aspetta...l'avevo pensato sul serio?) e che avevo intenzione di passare il pomeriggio a casa sua, con la scusa di divertirmi un po', anche se di divertente quel pomeriggio avrebbe avuto nulla.

Non avevo trovato alcun ostacolo da parte sua, non che mi aspettassi diversamente. Era ormai palese la preferenza di mia madre per Akira.

Dopo averle promesso che sarei tornato di corsa (metaforicamente s'intende) a casa se la mia salute fosse ricaduta, chiusi la vhiamata e vidi Akira intento a parlare con qualcuno al telefono, finendo dopo poco.

Mi aveva invitato infine con in leggero sorriso a seguirlo verso la sua auto, facendomi così evitare di spendere ulteriori soldi per un taxi. I taxisti dovevano stendere un tappeto rosso al mio solo passaggio, visto che gli avevo fatto guadagnare più io in quegli ultimi giorni che le altre persone messe insieme in tutta la loro vita.

Arrivati a destinazione trovammo, di fronte al portone aperto, sua zia ad attenderci. D'istinto m'irrigidì. Pensavo fossimo stati da soli a casa ma a conti fatti avrei dovuto aspettarmi sia la presenza della zia che forse anche di Maiko, vista l'ora.

Akira si affrettò a tirare fuori dal bagagliaio la sedia a rotelle che porse alla zia che scomparve oltre il portone.
Aspetta...non aveva forse intenzione di...
Mi aprì la portiera e mi sorrise, un sorriso con tanto di fossette.

Cazzo. Perché il cuore mi batteva così forte nel petto a quella visione, tanto da farmi temere che fuoriuscisse dal petto (che scena degna di uno splatter)?

Mi fece passare un braccio appena sopra l'altezza delle ginocchia e l'altro dietro la schiena e mi issó su come se fossi un fuscello, esattamante come quando, tempo prima, mi aveva aiutato dopo la zuffa con un vecchio odioso o per raggiungere il campetto da calcio del mio quartiere.

«Hai intenzione di portarmi così fino a casa tua?» domandai e Akira continuò a sorridermi di rimando.

«Ti ricordi che l'ho già fatto?»

«Si ed è stato strano. Mi sentivo come una novella sposa...»

Non appena mi accorsi di quello che avevo pronunciato diventai rosso come un pomodoro e mi nascosi il viso tra le mani, e m'imbarazzai ancora di più quando sentì Akira ridacchiare.

È Tutta Una Questione di ChimicaWhere stories live. Discover now