Capitolo 36

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Arrivò venerdì con sollievo. Ancora qualche ora e avrei passato del tempo solo con Akira senza menzogne, solo noi due. Mi aveva già promesso una sessione di utilizzo delle protesi che avevo purtroppo dovuto ridurre, vista la segretezza in cui doveva avvenire. Akira le teneva con cura sotto il suo letto e per questo potevo utilizzarle, per ora, solo a casa sua.

La mattinata passò con estrema lentezza tanto che, ogni volta che osservavo l'orologio, anziché lo scorrere del tempo che percepivo, constatavo con orrore che non erano passati altro che una manciata di minuti.

La tentazione di tirare testate contro il banco per l'esasperazione era troppa, ma non potevo permettermi di non arrivare al meglio per quel pomeriggio.

Quando suonò l'ultima campanella repressi un urlo di felicità, e mi fiondai fuori, dopo aver raccolto in fretta e furia il materiale scolastico che avevo sparpagliato sulla superficie del banco nel vano tentativo di rimanere sveglio e reattivo, per quanto possibile.

Non dovetti attendere molto prima che Akira mi raggiungesse dall'ascensore.

«Ti vedo affranto» fu quello che mi disse non appena fummo da soli nello stretto abitacolo.

Tirai un sospiro. «Risento della fine della settimana».

"Così come il resto del tempo" avrei voluto aggiungere. Akira dovette aver percepito il mio pensiero perchè stirò le labbra in un sorriso divertito, ma non aggiunse altro, mentre mi seguì verso l'uscita.

«Se sei stanco possiamo vederci un'altra volta» propose lui con sguardo intenso.

Ma col cazzo!

Scossi la testa. «Sono stanco della scuola. Non potrei esserlo di te». Precisai le mie parole finali a bassa voce in modo che non mi sentisse nessuno ad eccezione di Akira.

Lui mi rivolse un fugace sorriso dolce prima di lasciarmi dalla macchina di mia madre, come ormai era sua consuetudine fare. Mi piacevano quelli che sembravano piccoli rituali quotidiani che stavamo instaurando tra noi. Provai un improvviso bisogno di andare oltre. Arrossì subito per l'imbarazzo che quel pensiero aveva scaturito.

Non ero assolutamente pronto, e Akira non mi sembrava intenzionato a instaurare ancora quel tipo d'intimità. O sì? Non avevo affrontato l'argomento con lui, non sapendo neanche da dove cominciare. Mi sentivo un ingenuo, eppure quel tema non mi era del tutto estraneo. L'avevo fatto con Agnese quando desiderava, l'ultima volta era stata tre mesi prima il mio incidente, dopo essersi presentata a casa mia visibilmente turbata. Ma la mia sfera sessuale si era fermata con lei. Non l'avevo mai fatto con un ragazzo e non avevo la più pallida idea da dove cominciare.

Ritornai con la mente sulla terra non appena sentì la portiera della macchina sbattere e osservando fuori dal finestrino constatai che eravamo appena arrivati a casa.

Non appena ebbi ripreso possesso della sedia a rotelle entrai in casa e subito mi fiondai in camera per preparare le cose da portare. Non erano molte ma preferivo portarmi avanti e non ridurmi all'ultimo come di solito facevo.

Recuperai una maglia bianca e un paio di boxer che avrebbero fatto da pigiama e delle calze larghe con cui avrei fasciato i moncherini ancora sensibili ma visibilmente migliorati.

Non mi accorsi della presenza di mia madre fino a quando non avvertì la sua voce alle spalle.

«C'è qualcosa che vorresti dirmi?»

Mi fermai con la mano sospesa sopra il borsone che avevo utilizzato quando ancora andavo a calcio.

«Nulla» risposi, non capendo dove volesse andare a parare.

È Tutta Una Questione di ChimicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora