Capitolo 20 parte 2

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Trovai il prof di legislazione sanitaria, materia di cui avrei fatto volentieri a meno dato che di diritto capivo poco o niente, intento a spiegare. Si fermò un attimo giusto per salutarmi educatamente prima di lasciarmi il tempo di raggiungere il mio posto in primo banco e a riprendere la lezione.

Trovai con sorpresa il mio zaino poggiato sulla superficie del banco e istintivamente guardai il caro compagno Quattrocchi in cerca di spiegazione.

«É venuto a portarlo il ragazzo di BA*, quello dai tratti orientali» mi sussurrò di tutta risposta per poi tornare diligentemente alla lezione.

Akira.

Nel trambusto di quello che era successo quasi due ore prima (si, il preside ci aveva trattenuti tanto), il mio ultimo pensiero era stato lo zaino. Per Akira non doveva essere stato così, e il solo pensiero mi scaldò il cuore.

Lo poggiai a terra dopo aver recuperato libro e quaderno. Mi era quasi venuta una strana voglia di capire cosa stesse spiegando il prof, il che era una novità per me.

Passai tutta l'ora a cercare di seguire, io che dopo appena cinque minuti mi distraevo per qualsiasi cosa, con il risultato di arrivare la fine con un mal di testa atroce.

E...quanto cazzo mancava alla fine della giornata?

Non sarei mai sopravvissuto.

Per fortuna dopo la campanella, che decretò la fine al supplizio, c'era la ricreazione, quindici minuti in cui avevo il tempo di ossigenare il cervello per le ore a seguire.

Con un sospiro inclinai la testa all'indietro e chiusi gli occhi cercando di rilassarmi.

«Ma davvero hai fatto a botte con uno?» sentì dire la voce del mio compagno di banco.

Socchiusi l'occhio della sua direzione.

«E con ciò?» domandai. Non avevo voglia di parlare, ma solo di riposare.
Ma lui non capì l'antifona e non demorse.

«Il preside ha preso qualche provvedimento? Ti sospendono? Ti daranno una nota?»

Feci per rispondere quando una voce alle mie spalle mi bloccò.

«Ovvio che no. Ora che é in queste condizioni gliele faranno passare tutte lisce».

Ippolito si mosse e mi si piazzò di fronte.

Sinceramente non avevo questa gran voglia di vedere la sua brutta faccia.

«Sm-smettila di dare fastidio a Luca» tentò di difendermi Quattrocchi, con il risultato di allargare il ghigno sul volto di Ippolito.

«Sai anziché prendere le difese di una causa persa dovresti pensare più a te stesso» rispose, velando una possibile minaccia.

Lui incassò e sembrò quasi accartocciarsi su se stesso come a provare a sparire.

Solo perché mi irritava la sua presenza non significava che dovesse finire nel mirino di Ippolito che, a quanto pareva negli ultimi tempi, si stava divertendo a tormentare il prossimo. E dire che per un periodo era lui finito nel mirino di un gruppo di ragazzi. Una delle risse di cui ero stato protagonista era nata con il loro capo, proprio in sua difesa. Vederlo nei panni di un carnefice mi faceva quasi dubitate della mia scelta di allora di aiutarlo.

«Levati Ippolito. Non sono dell'umore giusto per sentire le cazzate che escono dal tuo culo. Oh pardon, bocca. Sai, non vedo tutta questa differenza» mi intromisi e vidi Quattrocchi osservarmi con ammirazione, ma lo ignorai.

Sarò risultato strano ma il pensiero che più mi balenava in testa era che quello che mi stava di fronte al posto del mio ormai ex migliore amico fosse un sosia alieno. Oppure questo suo cambio repentino di carattere era dovuto a un uso di stupefacenti che gli avevano fritto il cervello. Forse la seconda era la più plausibile.

È Tutta Una Questione di ChimicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora