Capitolo 20 parte 1

261 28 33
                                    

La faccia che si dipinse sul viso non appena mi vide fu esilarante.

Quella mattina mi scrisse presto, aggiornandomi che la febbre era passata e che sarebbe venuto a scuola. Inutile dire che colsi al volo la palla al balzo, non facendomi sfuggire l'occasione di andarlo a prendere a casa per accompagnarlo a scuola.

Mia madre non fu difficile da convincere, era ormai risaputa la sua simpatia nei confronti di Akira.
Secondo me, se ne avesse avuto l'occasione avrebbe fatto volentieri scambio di culla, era abbastanza evidente che Akira sarebbe stato un figlio migliore per i miei genitori.

Preso da questi pensieri tetri arrivammo di fronte al portone di Akira proprio mentre lui stava uscendo, il volto coperto per metà da una spessa sciarpa amaranto e le mani infilate nelle tasche di un cappotto nero che rendeva la sua figura ancora più slanciata.

Abbassai il finestrino e mi sporsi, non tanto da cadere (non si sa mai) e neanche da farmi falciare la testa da in auto in movimento.

«Aki» lo chiamai cercando di sovrastare il rumore delle auto e quello fastidioso dei clacson.

Lui sussultò per la sorpresa e si voltò nella mia direzione.

«Sali che ti diamo un passaggio» lo invitai e lo vidi tentennare, reazione che non riuscivo a comprendere.

«Ti devo forse venire a prendere di peso?» lo minacciai scherzosamente, ben sapendo che se davvero avessi dovuto mettere in pratica la minaccia sarebbe stato alquanto problematico.

Quando pensai di aver perso ogni speranza lui si avviò finalmente verso la nostra auto.

Gli feci spazio e per questo riuscì a scivolare elegantemente al mio fianco.

«Arigato gozaimasu*» disse Akira, e diversamente da quanto mi aspettassi mia madre sorrise.

Quindi ero solo io il povero disagiato che non capiva un accidenti di quella lingua?

«Suvvia non essere così formale. É un piacere, soprattutto dopo quello che stai facendo per Luca» ribatté mia madre, e notando la mia occhiata perplessa riflessa sullo specchietto rise.

«Ho dei contatti legati ai miei clienti in Giappone. So capire alcune frasi ma non so ancora parlarlo bene. Akira, se hai intenzione di fare lezioni private sappi che sono disponibile».

Solo io avevo la malsana idea che mia madre ci stesse provando con lui?

«Se deve fare a qualcuno lezione di qualsiasi cosa, quel qualcuno sarò io» mi lasciai scappare troppo in fretta.
Non appena realizzai ciò che era appena uscito dalle labbra arrossì senza ritegno, lo stesso rossore che si propagò anche sulle goti di Akira che cercò ogni modo possibile per non incrociare il mio sguardo. Avvertì mia madre ridacchiare senza ritegno.

Pensava forse che non la sentissi?

Che insensibile!

Le conversazioni successive furono più brevi e decisamente più innocue rispetto alla precedente.
Arrivammo, per fortuna, a scuola in largo anticipo e incolumi. O meglio apparentemente. Ancora mi rimproveravo di aver messo a disagio Akira, ma più di tutto mi dava a pensare il motivo per cui lui non mi diceva una volta per tutte di smetterla di metterlo in imbarazzo con le mie uscite abbastanza fuori luogo.

Dovevo trovare un modo per filtrare i miei pensieri anzichè mettere semplicemente in moto la lingua.

Per fortuna adocchiai il trio dei Nerd a poca distanza. La perfetta distrazione che mi serviva!

Fu Capelli Tinti a vederci per primo e salutò Akira con contentezza, non considerando minimamante il sottoscritto.

Scusa tanto se esisto, eh!

È Tutta Una Questione di ChimicaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora