xiii. Buchi neri e rivelazioni

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A mollo l'uno di fronte all'altro, Mŏdis e Ivon erano assorti nella vasca. Due poli opposti, non si guardavano né sfioravano e, agli occhi di un osservatore esterno, sarebbero apparsi quasi rilassati.

Il Dottor Idra aveva pagato un anonimo motel per qualche ora di riposo, prima della sortita verso l'Antenna satellitare di Moderat. Prevedibilmente, il mutante aveva fatto di tutto per sfuggire alle grinfie di Ivon, ma questo l'aveva trascinato con lui e chiuso dentro. La pelle dell'ittioide si stava già seccando, una reazione psico-somatica allo stress; Mŏdis non aveva potuto evitare di infilarsi in acqua con l'altro, un gesto sfacciato che stava facendo ribollire di rabbia il mutante.

Il professore portò alla bocca il sottile vaporizzatore di canapa, conscio di aver nuovamente ceduto al vizio del fumo. Ringraziò mentalmente Moses per avergli passato l'erba.

L'ittioide era il più assente dei due; la testa bagnata poggiata e inclinata contro al bordo e la sua sciolta immobilità lo facevano sembrare quasi svenuto.

Ivon lo vedeva, senza guardarlo davvero. Era stanco di quel silenzio, lo faceva sentire un fallito. A suo modo, il professore aveva impiegato tempo, sforzi e altre risorse per tirare l'ittioide via dal suo stato di declassamento. A Ivon interessava ancora sapere la verità per bocca di Mŏdis, ma non poteva cavargli le parole dalla gola, la cosa gli avrebbe provocato solo altri traumi su traumi.

Il professore appoggiò un polpaccio al fianco di Mŏdis, sperando di attirare la sua attenzione. «Vieni qui,» sussurrò, invitando la creatura a girarsi per mettersi tra le sue braccia. «Credevo davvero di averti perso.»

L'altro si rifiutò, con una smorfia di disgusto. Era sempre stato cedevole alle effusioni di Ivon, le trovava piacevoli e viscide al tempo stesso. L'idea di un abbraccio sincero mandava fuori di testa l'ittioide, lo desiderava. Ma Mŏdis aveva il sospetto che le strette di Ivon non fossero mai state fini a sé stesse. Un piccolo rantolo del mutante precedette la mina esplosiva.

«Tu mi soffochi.»

Tra loro calò il silenzio. Il professore era immobile, a occhi spalancati. Non si aspettava che Mŏdis ricominciasse a parlare così, di punto in bianco. Non mosse un dito né esalò un respiro di troppo. Ivon rimase a fissare l'ittioide intensamente, come se fosse chiuso in gabbia con una bestia momentaneamente ubbidiente, ma non sazia.

«Non mi fai respirare.»

Detto anche questo, il corpo setoso di Mŏdis iniziò a tremare. Le sue palpebre si gonfiarono appena, sforzandosi di trattenere quelle lacrime che non si addicevano a un trentenne dal duro passato, nonostante facesse di tutto per apparire come un bambino agli occhi di tutti.

«Mŏdis...» ma il corvino si fermò, come folgorato. Avrebbe voluto prenderlo di petto e chiedergli, ora che aveva recuperato la parola, ogni cosa. Ma non lo fece, rimase a sentire come l'acqua in cui era immerso sembrava essersi fatta improvvisamente più fredda. Attese, diede al mutante altro tempo.

Mŏdis trasse lentamente un ginocchio al petto, come per allontanarsi il più possibile dal corpo nudo dell'altro. Chiuse le membrane nittitanti e le palpebre. Nel farlo, spinse fuori due grandi lacrime. Abbandonò la testa contro il ginocchio, parlò con voce rauca e spezzata: «Ero pronto a morire... per avere una briciola del tuo cuore. L'ho fatto, e non è cambiato niente. Le tue parole non valgono... niente.»

Ivon smise di respirare. Perse un paio di battiti e allungò una mano. «Mŏ-»

«Non mi toccare» schizzò Mŏdis. «S-stai al tuo posto o giuro, ti ammazzo con le mie mani.»

Sindrome di LazzaroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora