xxiii. Desideri nascosti

71 6 10
                                    

L'equipaggio non sarebbe arrivato al varco spazio-temporale prima di quattro mesi.

Calcolavano i tempi in base al ritmo circadiano terrestre; il settaggio a ore folgariane non aveva più senso, così SET si era deciso a cambiarlo definitivamente e impostare il ciclo notte/giorno del pianeta Terra, coordinando di conseguenza le luci interne dell'arca.

A quell'ora, c'era chi ancora dormiva, chi era già a lavoro e chi bivaccava nella saletta mensa. Arlo era uno degli ultimi a essersi svegliato relativamente presto, lasciando a malincuore un materasso bollente, con Beatriss nuda come cuscino. Ma voleva rendersi utile nei magazzini o nell'inventario, perciò passava prima a prendersi una bevanda calda.

L'infermiere si vide atterrare davanti un fascio di muscoli con lunghi capelli sparati e crespi di nervosismo. Si intravedeva la ricrescita castana dalle radici; Dente non avrebbe trovato della tinta rosso fiammante sull'arca.

«Oi, Den. Ti vedo arzillo.»

Un grugnito risalì la gola del rosso, che aveva gli occhi tuffati nella tazza di caffè annacquato. Con la stecchetta rigirò i cristalli di glucosio, poi la puntò stancamente verso Arlo, borbottando: «Prima bevo, poi parli.»

L'infermiere sorrise divertito, guardando l'amico improvvisare una cipolla in cima alla testa e infilare il naso importante nella sua bevanda, bere tutto d'un sorso, per poi cominciare a fissare ingrugnato il vuoto. Arlo conosceva bene Dente, abbastanza da sapere che il sicario era sempre di malumore, appena sveglio. Come se il peso dell'esistenza gli piombasse sulle spalle non appena metteva un piede giù dal letto. Non c'era un motivo preciso, Dente era fatto così. Ma quella volta Arlo indovinò una sfumatura diversa dal solito.

«Amico, sul serio. Hai una faccia...»

Den chiuse le palpebre sulle iridi verdi, contornate di rosso stanchezza, e scosse il capo più volte. «Stamattina è successo tutto di botto. La stronza ha pensato bene di chiedermelo mentre ero ancora rincoglionito e trascinarmi nel laboratorio dello scienziato pazzo.»

Arlo impiegò qualche secondo per collegare i nomignoli ai rispettivi personaggi. «Intendi il boss? Non ti ho mai sentito parlare di lei così. Che è successo?»

Il sicario ebbe un brivido. I peli sui possenti avambracci si rizzarono sull'attenti. «So solo che si è appena fatta inseminare artificialmente. E il coso col codino era mio. Quel... dannato quattrocchi, sa che le donne non mi piacciono un granché, e mi ha prestato una mano per fare in fretta. Era contento di sperimentare una gravidanza artificiale, il maniaco della scienza. L'ha addirittura incoraggiata!»

Arlo si portò all'indietro i capelli, scandalizzato fino all'osso. Non aveva bisogno di cercare i soggetti nelle frasi sconnesse di Dente, bastava un minimo di immaginazione.

«Perché non ti sei rifiutato, Den? Ce l'hai sì o no uno straccio di volontà?»

«Beh, non mi sfogavo da un sacco, fra'. Quello se ne stava lì a fare il dottorino, si è messo il guanto alla mano, il lubrificante, il sorriso gentile. Molto professionale...»

«Che schifo, cazzo. Non intendevo i dettagli» lo rimbeccò il barbuto, piantando una manata a scrollare la spalla di Den. «Dico che non avevano il diritto di farti quello, è violenza sessuale. Hanno approfittato del fatto che appena sveglio hai uno sputo di catarro al posto del cervello!»

«Frena, fratello,» lo corresse il rosso, infastidito «adesso non metterti a fare il perbenista del millennio. L'ho fatto a una sola, semplice condizione: sono fuori da ogni responsabilità. Il boss se la vedrà da sola, come vuole lei. Io non c'entro niente né col suo desiderio di avere un poppante, né con quell'ammasso di cellule che si sta facendo crescere in pancia.»

Sindrome di LazzaroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora