xxv. Luce guida

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Il varco opaco del laboratorio era chiuso ermeticamente. Battendo le nocche, Sahara attese con pazienza.

«Prof, sono solo io. Dai.»

Credeva davvero che Ivon non aprisse neanche in quel caso, invece le ante vitree sibilarono, scorrendo in direzioni opposte. Allungò il collo oltre le strumentazioni e le colonnine messe in mezzo alla sala, e in fondo scorse una figura accasciata sulla scrivania sotto al lungo oblò stellato.

«Ivon!» corse e gli atterrò a fianco, agile come una gazzella. «Stai messo uno schifo. Da quanto non ti lavi?»

«Dettagli, dettagli» sussurrò lo scienziato, con la guancia contro la superficie del tavolo. Si era assopito tra pile di ologrammi ancora aperti e ogni sorta di pipetta, flacone e preparato proteico andato a male. «Sto bene.»

«Per niente» lo corresse l'altra. «Perché fai così? Lavati e fatti una dormita.»

«Non posso» scattò il corvino, aggrappandosi alla superficie sotto di sé in un gesto di folle protezione. «Lui verrà a uccidere i miei bambini.»

«Lui... SET?»

«Come lo sai?»

«Sanno tutti della situazione, Ivon. Mŏdis è un chiacchierone e SET è di malumore, ma obbedisce alle leggi della robotica: non può nuocere in alcun modo a un essere umano, anzi, a un vivente in generale.»

«Nella Piramide, è stato SET a ordinarti di staccare la spina ai feti dell'esercito di Madre. Erano umani anche loro, eppure...»

Quella era un'ottima obiezione. Sahara rimase a pensare, e dovette dare ragione a Ivon ma, allo stesso tempo, anche a SET. Era combattuta, ma conosceva Ivon da più tempo e si era sempre trovata d'accordo su ogni cosa, con lui. Il suo rapporto con Ivon non era neanche lontanamente simile a quello che lui aveva con Mŏdis. Sahara e Ivon non avevano mai discusso, erano sempre stati sulla medesima lunghezza d'onda. Con lei, Ivon tirava fuori il meglio di sé.

«Prof, mi dispiace, ma un po' è vero che sei andato fuori controllo. La missione dovrebbe essere quella di riportare gli zigoti di Homo sapiens su Terra. Punto. Ma ora hai fatto quello che hai fatto, e a me non tange, ma perché non lasci in pace Mŏdis? Ti ama da morire, sembra sul punto di tagliarsi le vene. È al limite, come lo sei anche tu. Prendetevi una pausa l'uno dall'altro.»

«Grazie per la seduta terapeutica di coppia. Perché pensi che io mi sia battuto così tanto per adottarlo?» Ivon si mise in piedi, ma un giramento di testa lo rallentò. «Non solo per la faccenda della Piramide, ma per arrivare a questo: la sintesi di una nuova forma di vita. Io sono un docente di genetica razziale, Sahara. È tutto ciò che sono...» farneticò, reggendosi la fronte con una mano tremante.

«Non sei solo questo. Sei molto di più» tentò di rabbonirlo la studentessa, invitandolo a sedersi di nuovo. «Sei il mio mentore, sei l'uomo più coraggioso e geniale che conosco. Sei folle, perché non hai mai paura, mai, di niente! Non so come fai.»

«Sai? Mi sei mancata.»

«Madre, sei davvero impazzito.»

«È vero. In questi giorni, sono riuscito a fare l'amplificazione sequenziale solo perché lo schermo era più intuitivo...» ammise, memore del vecchio imbarazzo.

Sahara scoppiò a ridere, attaccandosi al braccio del suo professore preferito. «Dai, potevi chiamarmi. Non ci scervelliamo insieme da un sacco di tempo,» lo rimproverò, nostalgica. «Ma ora devi fidarti di me, Ivon. Vuoi proteggere i tuoi "bambini"? Allora tu per primo devi essere in salute. Chiudi il laboratorio, metti in tasca la chiave magnetica e, se qualcuno prova a entrare, lo saprai in tempo reale.»

Sindrome di LazzaroDonde viven las historias. Descúbrelo ahora