Prologo

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Era incinta di un embrione maligno, un aborto disgraziatamente mancato. 
Lei, unica nella sua bellezza, Madre di molti figli, uno straordinario meccanismo di resilienza e volontà. Ella, sterile e fertile allo stesso tempo. Mortale ed eterna insieme, eloquente e quieta solo sulla pelle.   
Lo custodiva nel grembo da troppo tempo, tanto da rischiare la calcificazione delle sue stesse viscere endometriali.
Quel feto, stavolta, differiva dal resto dei suoi fratelli; egli racchiudeva il seme del contrasto, una malformazione congenita. Quell'empio la distrusse.
La divorò dall'interno, avido di lei, suggendone le intestina cariche di essenza.   
Nei lombi, quell'essere procrastinava il dissesto. Infettava i tessuti con secrezioni mefitiche; suggeva il sangue dalle arterie materne e raschiava alla ricerca del midollo spinale.
La Madre decadde e rinvenne. Barcollando nell'eterno ritorno all'uguale, implorò il vuoto di risparmiarla. Ma esso la colpì in pieno viso, sfregiandola.
Ella incassò il colpo.
Le sue membra furono scosse e provate da quella gestazione nefasta, destinata a marcire dentro e fuori da lei.
Poi la placenta si staccò.
Il cordone ombelicale fu finalmente reciso.
L'orrendo figlio fu espulso dal sacco amniotico, sanguinoso e deforme. L'infame abbandonò l'addome della Madre per cercare nutrimento in altri seni, carni di estranee che potessero accoglierlo e svezzarlo.   
E fu tra i reflui del suo peccato, nel sangue e nella colpa, quella prole come un flutto alla deriva.
Si trascinò oltre la costa, nell'oceano sconfinato e senza fondo.
Il figlio crebbe disgiunto da lei. Se mai avesse conosciuto sua Madre, ebbene, l'avrebbe intenzionalmente obliata. 













Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now