Ultima parte

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       Impronte vocali non riconosciute. Interruzione delle attività.

«Namra, dobbiamo andare via.»

«No!» piangeva la donna. «Qrrash... lui... Non può essere così! Non può essere lui.»

«Lui non era un dio» una grossa lacrima solcò la pelle arida e scura di Shani. «Era un uomo. Solo un uomo... Erano solo uomini. Uomini!» si straziava.

Un vuoto d'aria invase i polmoni di lei. Non voleva credere. Voleva continuare a guardare, respirare e ingoiare quei due spettri, stretti in un saldo abbraccio. Divorò con gli occhi il bel volto di Qrrash, i suoi occhi profondi e le labbra perfette, la voce melodiosa, eppure... normale ed esitante in tutte le sue mancanze al cospetto dell'altro: Tor Mida era malvagio, come scritto dagli apocrifi. La frequenza del suo spettro appariva maligna, come uno specchio crepato. Era quello che sottometteva l'altro, la personalità dominante che prendeva e manipolava il corpo divino di Qrrash come se fosse argilla nelle sue mani.

Ricalcolo degli anni trascorsi. Troppi. Tutti quelli che conoscevo sono morti.

«Namra! Dove vai?»

La caposquadra era corsa via, veloce e furiosa come un uragano.

Le anime di Qrrash e Tor Mida erano ancora lì, strette in un abbraccio eterno.

Se solo Shani fosse stato il Signore del Tempo, avrebbe potuto vedere le loro evoluzioni. Avrebbe potuto comparare la dolce danza dei due falsi dèi con quello che accadde sedici anni dopo. Cadere in una sequenza di eventi che contrapponevano l'amore alla morte, l'odio, il sesso e la lotta finale tra i due. Avrebbe visto la differenza tra le loro pelli, mentre Qrrash e Tor Mida facevano l'amore, mentre era Qrrash, forse, a infilare una lama nel petto di Mida. L'ultimo alito di vita che aveva abbandonato Mida.

Sahara è morta.

Shani cercò di mettere un passo dopo l'altro, e gli sembrava di portare sulle spalle il peso di una religione millenaria appena distrutta. Premeva sulla schiena, faceva tanto male. Faceva male che, per duemila anni, l'umanità avesse adorato e creduto con ogni fibra di sé nelle fonti errate, e che quelle insabbiate fossero portatrici di verità. Era un dolore cosmico, lui non voleva che fosse Namra a portarlo tutto. Era troppo grande anche per loro due.

Sahara...

Il vecchio iniziò a camminare tra i resti di quel microcosmo. Silenziosi e allucinanti, erano apparsi altri spettri. Figure maschili e femminili che si muovevano da una parte all'altra di quelle rovine, intenti nelle normali faccende quotidiane. Qualcuno beveva qualcosa, due di essi flottavano sulle poltrone sfondate della plancia, altri portavano casse e altri oggetti. Una di quelle figure attirò l'attenzione di Shani. Un fantasma di una ragazza minuta, che camminava ridendo e scherzando con una montagna di luce non identificata.

«...rresti, per il futuro?»

«Stare con te, mi pare ovvio. Mia madre la prenderà malissimo, ma... ci sono un sacco di cose che potremmo fare, io e te. Esplorare il mondo! Viaggiare! Con te sono in una botte di ferro, SET. Ah, scusa il gioco di parole!»

L'astronave era infestata da spiriti danzanti. Anime che si erano poi sparse per il mondo; anime che avrebbero voluto restare unite, ma non c'erano riuscite.

Sahara...

Shani fuggì, terrorizzato da quei fenomeni paranormali, dalla voce insistente dell'astronave. Catapultatosi fuori dallo scheletro maledetto del velivolo, il vecchio poté giurare di aver sentito un urlo straziante. La voce dell'arca era stata un crescendo di irrazionalità e disperazione, ma Shani non poteva sapere di chi fosse il cuore della Savanna, né che il messìa di Folgar era ancora lì, bloccato in un limbo perpetuo di ricordi e impossibilità. Prigioniero dello stesso tempo e della stessa gravità attraverso cui aveva unito i fili di dodici vite extrasolari.

Sindrome di LazzaroOù les histoires vivent. Découvrez maintenant