Esogenesi

52 7 18
                                    

Nero. Nel nero del suo campo visivo, iniziarono a frapporsi immagini fuori fuoco, volti di persone concitate attorno a lei.

La nave era in allarme. Nuovi asteroidi avevano colpito le fiancate della Savanna, destabilizzandola ulteriormente. I membri erano stati sbattuti da parte a parte, mentre Sahara aveva urlato senza accorgersene, urlato fino a rischiare di lacerarsi le corde vocali. Poi aveva sbattuto una tempia e perso i sensi.

Al risveglio, Sahara si addossò a una parete, rigida come una statua, guardava tutto con occhi opachi come sclere di un cieco.

«Questa è l'ultima! L'ultima perdita che... che...» Cam era fuori di sé. Aveva perso il controllo, veniva sorretto da Ivon e Arlo, i due meno coinvolti emotivamente. «Dio non c'è! Non esiste un Dio!»

«Dio esisteva, ed è morto.»

Cam si bloccò improvvisamente. Fissò chi aveva detto quella cosa, Arlo. Trovò nei suoi occhi scuri e sbattuti la totale mancanza di appigli, un vuoto siderale. Iniziò a lacrimare. Lui, un pilota forte e maturo, che era sempre parso a prova di crepe, fino ad allora.

«Vicecomandante» Ivon si inginocchiò, prese fra le mani la criniera rasta dell'uomo, stringendoli la testa. «Non può cedere adesso. La nave... Non sappiamo più in che direzione sta puntando. Senza di lei moriremmo nel giro di pochi minuti.»

«Dio è morto... SET è morto» rispose Cam, quasi delirante. «Come puoi pensare di essere degno... degno di continuare questa storia?»

«Vicecomandante!» Zeno gli si buttò addosso e iniziò a scrollarlo, urlando di paura: «Noi... noi dobbiamo continuare e siamo in pericolo! Faccia qualcosa!»

Si susseguirono dispute indistinte, volarono schiaffi, il tutto mentre Beatriss si stringeva Tesla a un seno, e Sahara a un altro. Piangeva come una bambina. Il suo neonato aveva un braccino rotto, strillava di un dolore inconsolabile, mentre la piccola Meccanjca era in bilico tra la vita e la morte.

Arlo abbandonò le redini per andare ad assistere i neonati. Nel frattempo, Mŏdis entrava in uno stato di panico. L'attacco emotivo irritò talmente tanto Ivon da mollargli un pugno in piena faccia.

Il professore si ritrovò il sangue del naso di Mŏdis gocciolare sulla mano. «Sta' calmo, dolcezza.»

L'ittioide lo fissò per quello che era: il più pazzo e, allo stesso tempo, il più pragmatico di tutti loro.

«Fottiti, Ivon, sei il solito stronzo» gli sputò una strisciata di sangue e saliva sulla maglia. Per tutta risposta, lo scienziato artigliò la nuca corvina del mutante e spalmò la faccia contro quella dell'altro.

«Siamo vivi, Mŏdis. Siamo quasi arrivati» ansimando di gioia, lo guardò, sporco del nero inchiostro dell'ittioide. «Ce l'abbiamo fatta.»




I bambini sarebbero sopravvissuti. Arlo era riuscito, miracolosamente, a stabilizzare i parametri vitali di Meccanjca.

Dall'altra parte della Savanna, Cam riuscì a rinsavire abbastanza da guidare oltre la seconda e ultima cinta di asteroidi, quella che divideva Giove da Marte. Si intravedeva un puntino luminoso in linea retta, offuscato dall'occhio brillante del Sole.

«Che cos'hai, lì?». La madre di Sahara le indicò il pugno stretto, dal quale baluginava un'inquietante lume azzurro.

Sahara si ritrasse di scatto, come morsa da una creatura velenosa. «Niente. Non lo toccare. Non mi toccare.»

Ancora sconvolto e oltremodo stanco, l'equipaggio ignorò la condizione di Sahara e lo strano oggetto che teneva. Ombre di gambe e piedi che le passavano davanti, lei, intrappolata in una morsa di rimpianto e miseria.

Sindrome di LazzaroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora