iv. Odialo e ti amerò

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«Cos'è, mi sono sposato mentre ero sbronzo?»

Ivon non rise affatto, appena scambiato per una casalinga intenta a pulire le stoviglie. Voltandosi stanco e scapigliato, il padrone di casa poggiò la schiena all'anta del frigorifero. «Divertito ieri sera? Stamattina mi sono svegliato con un principio di polmonite.»

Arlo si stiracchiò, intimandogli di spostarsi. «Primo, mi devi un favore. Secondo, anche la colazione, poi ragioniamo.»

«C'è del caffè ristretto, nel microonde.» Ivon lo lasciò fare, e per distrarsi controllò il cellulare da polso: trentasette chiamate perse e dodici messaggi da Sahara. S'impose di ignorarla, memore dell'atteggiamento esageratamente invadente della ragazza la sera prima. Infastidito, Ivon tentò di pensare ad altro e gli riuscì facilmente. Arlo! Tu qui... che razza di scherzo del destino è mai questo? Sapevo che eri invischiato nello spaccio, ma mi sarei aspettato di vedere chiunque alla Cubica, tranne te...

Il professore non avrebbe dovuto continuare a collezionare dati e avvistamenti nella speranza di mettere a punto un piano sicuro per andare a cercarlo. Eppure, non era così che aveva immaginavo d'incontrarlo; l'uomo sembrava nascondere un nervosismo sottopelle, un qualcosa d'intentato e tutt'altro che amichevole.

«Dottor Idra. So che sai chi sono» ruppe il ghiaccio, buttando solo altro gelo.

«Carino, il gioco di parole.»

«Non scherzo, faccino. Sei vivo solo perché sono bravo a salvare la vita alla gente, non a toglierla. Devi dirmi che senso ha tutto questo e devi farlo entro due secondi.»

«Perché altrimenti che fa-...!» Ivon batté la nuca contro il metallo della cappa, colto alla sprovvista si ritrovò il naso importante di Arlo puntato contro. «Faccio quello che non ho avuto le palle di fare stanotte, svaligio la tua reggia e scappo» ma non si era pentito di aver lasciato in vita Ivon. In vita sua, Arlo non aveva ucciso neanche una mosca, figurarsi un pezzo grosso della comunità scientifica exiana.

Erano diversi, loro due. Arlo mostrava un petto villoso, la barba doppia e folta; la sua pelle era di un raro color caramello e gli occhi scuri erano quasi più espressivi di quelli di Ivon. Anzi, lo erano decisamente. «Va bene, va bene, non c'è bisogno di fare l'aggressivo.»

Il più grosso gli lasciò la gola, ma non si spostò di un passo, inconsciamente attratto dall'alone di pazzia e mistero intorno a quell'uomo. «Quelle dannate foto, come fai ad averle? Chi cazzo sei, eh?»

Il professore chiuse gli occhi, poi li riaprì più fermi di com'erano prima. «Hai frugato tra le mie cose... ma la domanda che dovresti pormi è chi sei tu, Arlo Idra.»

Nonostante questo, riuscì a guadagnarsi una nuova sbattuta di capo contro la superficie più vicina, per poi essere lasciato all'improvviso, intontito e dolorante. «Ma che cazzate stai dicendo?! Fidati, è già tanto che non ti abbia lasciato a strisciare alla Cubica, fottuto le chiavi e bivaccato in casa tua mentre venivi stuprato da quell'ecclesiastico! E adesso dimmi la verità!»

«Severo, ma giusto» concesse Ivon, massaggiandosi la nuca. Andò verso il piano bar della cucina e si sedette su uno sgabello, sorseggiando tranquillamente il suo caffellatte di soia. Quell'aria accomodante - nonostante l'aggressività dello spettro - fece in parte placare Arlo, che si decise a ricomporsi. Portò con sé la tazza di caffè e sedette di fronte al professore, teso fino al midollo.

«Sei uno spettro, nato da una relazione clandestina di mio... nostro padre, Tres Idra, con una escort umana non modificata. Lei doveva appartenere alla casta più bassa di Cromodoma, evidentemente, talmente disperata da abbandonarti appena nato» un pezzo di cuore di Ivon si ricompose, pronunciando quelle parole, mentre l'altro rischiò di andare in pezzi. «Sei mio fratello, Arlo.»

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now