Infinitamente

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«Sono stanco di questa farsa. È troppo pericoloso.»

«No, invece. Glielo lasceremo credere.»

Ivon riassunse così le elucubrazioni degli ultimi giorni. I suoi compagni lo guardarono storditi, eppure inesorabilmente complici. Gioielli e drappi di seta biologica li ricoprivano, sulle loro teste pesavano corone e fasce metalliche divinamente intarsiate; amazzoniti e turchesi incastonati illuminavano i loro corpi di un azzurro intenso, che spiccava sul fascino afrodisiaco dell'oro.

Arlo guardò male Ivon e tentò di replicare: «Quanto pensi che passerà prima che capiranno che non siamo veri dèi?»

«E cosa sono "i veri dèi", sentiamo» ribatté pazientemente Ivon, ammirandosi di fronte a uno specchio a misura d'uomo terrestre, quindi per lui troppo basso «se non esseri venuti dal cielo con un aspetto speciale e "poteri" speciali? Abbiamo una tecnologia diversa dalla loro, abbiamo Mŏdis, "l'alligatore umano". Noi siamo veri dèi.»

Arlo si passò due mani sulla faccia, contrariato e accaldato. Cam non commentava mai e fissava Ivon con una strana luce sinistra negli occhi. Da quando erano approdati, il personaggio dello scienziato pazzo era cambiato di nuovo: Ivon appariva più impulsivo e meno razionale, meno riflessivo e più distratto. Forse era normale, nemmeno gli altri erano rimasti così fedeli a loro stessi, dopo il salto spazio-temporale e il resto. Sahara passava ore a rigirarsi tra le dita un oggetto strano, sua madre non aveva osato chiedere perché cosa fosse quella cosa lo sospettava.

«Il cuore di SET.»

Tutti si voltarono verso quella voce. Sahara era apparsa sotto uno degli archi del chiostro, lì dove la luce solare batteva implacabile.

«So che ve lo stavate chiedendo tutti,» continuò, camminando sui suoi sandali di cuoio chiaro. «Il punto è che neanch'io so cosa farmene, di questo cuore.»

«Stai scherzando, vero?» esordì Zeno, severamente. «Hai la minima idea di quanti e quali dati possano esserci, lì dentro? C'è tutta la storia della fottuta umanità!» e tentò di strapparglielo dalle mani, ma Sahara si ritrasse di scatto, quasi impaurita.

«Che nessuno lo tocchi.»

«E che vuoi fare? Custodire una chiavetta dall'abnorme memoria senza farci niente? Vuoi usare quella palletta luminescente come gioiello da collo? Quello è SET, per Dio, è ancora vivo!»

«Che problema hai, Zeno? Perché ti scaldi tanto?» si arrabbiò Sahara. «SET è morto.»

«Il ragazzo ha ragione» intervenne Cam, lasciando tutti di stucco. «Sei davvero una stupida ragazzina.»

«Come ti permetti?» fecero all'unisono Beatriss e la diretta interessata.

«Se pensi che SET sia morto solo perché non puoi più stringere tra le braccia le sue casse di risonanza, beh, oltre a essere stupida sei anche superficiale. Pensavo che quella roba fosse andata persa nello spazio, e allora sì che... Dio, non ci posso credere» farneticò Cam, allungando la mano ingioiellata verso di lei. «Dallo a me.»

«Scordatelo.»

«Non farmi arrabbiare, mocciosa. Non sai cos'hai per le mani. È un'arma» si scaldò Cam, fissando a occhi spalancati quello che miracolosamente restava del suo amatissimo profeta.

In quel momento, Ivon avrebbe voluto picchiare Sahara e rubarle il gioiello. Gli indigeni non avevano osato indagare; l'oggetto alieno era rimasto nelle mani della dea Sahara e nessuno, non avendo visto SET al momento della consegna, avrebbe potuto sospettare che una pesante memoria come quella avrebbe potuto essere racchiusa in un micro-disco rigido estraibile. Sahara era ancora sconvolta da quella perdita, era traumatizzata e davvero non aveva ancora realizzato la logica importanza di quell'oggetto.

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now