xvi. Il lato oscuro - parte due

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Gli Homo sapiens non erano molto diversi dai folgariani.

I loro occhi si dimostravano meno tolleranti agli schermi, ma in compenso i sapiens erano significativamente meno afflitti dai tumori. Gli abitanti del TæT erano circa sedicimila, ma la popolazione era tragicamente in declino da almeno tre generazioni.

Il cibo servito alle mense non era cancerogeno; quella era la prima cosa su cui Sahara e Zeno avevano indagato. I due amici avevano unito le loro braccia e le loro menti nel piano delle Serre, il cuore verde del TæT. Zeno istruiva Sahara e lei fu felicissima di poter continuare ad agire. La superficialità della sua esistenza era un pensiero che la affliggeva, aveva il terrore di non essere utile nel grande progetto intessuto da SET.

Meccanjca e Dente furono immediatamente assunti al cantiere centrale. Entrambi avevano esperienza con motori e ferraglie da trasporto, Dente in primis. L'ex boss della Spinada apprezzò fin da subito quel mestiere, anche se l'impianto vertebrale che le coordinava braccia e gambe a volte faceva cilecca.

Tutti avevano quasi immediatamente ottenuto il proprio ruolo – compresa Beatriss, col suo compito di madre a tempo pieno; tutti tranne l'ittioide: Mŏdis Idra era stato accolto come un rispettabile fenomeno da baraccone. Qualcosa per cui i sapiens avrebbero pagato il biglietto.

Nulla gli veniva richiesto o proposto: erano tutti convinti che davvero fosse intellettualmente inferiore o comunque pericoloso, solo perché i suoi occhi non avevano iridi né erano incorniciati da sopracciglia; Mŏdis sembrava non avere mai espressione, per chi non lo conosceva. I sapiens non l'avrebbero mai detto esplicitamente, ma non tolleravano l'esistenza di lui: un ibrido artificiale, un ramo marcio nell'albero dell'evoluzione umana.

Mŏdis non ne soffriva. Non gli dispiaceva che nessuno si avvicinasse per paura che potesse mordere o spruzzare qualche veleno dalla bocca. Il colore della sua pelle era oggettivamente diverso; quasi tutto di lui non era conforme agli standard umani ed era naturale che gli altri lo guardassero con curiosità, disgusto o disapprovazione.

Solo i bambini gli si accostavano di tanto in tanto. Cuccioli di sapiens, ancora troppo piccoli per sentire il terreno della loro anima soffocato dalle radici del razzismo. Prima che i genitori potessero strattonarli via, Mŏdis regalava a tutti un sorriso di circostanza.

Il suo pensiero costante e ossessivo era ridotto a una sola persona, il suo unico appiglio in una vita senza coordinate: Ivon. Lui era il suo sistema di riferimento, il suo Nord geografico.

Era passata quasi una settimana folgariana e il professore non si era ancora alzato dal letto. Il personale cominciava a sospettare che, per qualche strano motivo, non volesse farlo.

L'ottavo giorno del ricovero, Mŏdis partì in direzione del padiglione ospedaliero, deciso a trascinare Ivon fuori da lì. Durante il tragitto, l'ittioide fece come gli era ormai solito: si vestì di una lunga tunica scura, che i sapiens chiamavano "Chador*", da una lingua detta di derivazione islamica e totalmente aliena, per i folgariani. Si trovava a suo agio nel momento in cui copriva la parte che lui stesso considerava più immonda di sé: le antenne e, in generale, tutta la trama esotica della sua pelle.

A lunghe falcate raggiunse la porta scorrevole della stanza. Sentendo il solito groppo alla gola dall'emozione, entrò e si chiuse velocemente dentro insieme al paziente.

Fu in quel momento che Mŏdis credette di essere finito sul set di qualche video girato appositamente per essere inquietante, al confine con l'orrendo.

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now