20 | Nessun perdono per i traditori

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Sei giorni dopo

Non mi ero mai creduta invincibile come un supereroe, ma dannazione avevo creduto per gran parte della mia vita di essere una dura, una tipa tosta insomma. Avevo creduto per gran parte della mia vita di essere una donna con la D maiuscola, ma semplicemente mi ero sbagliata. Avevo scoperto da poco, grazie al proiettile che Toni mi aveva conficcato in un polmone, che io di tosto non avevo un bel niente. Fingevo solo di esserlo per la maggior parte delle volte. Avevo male a gran parte del corpo, senza contare la nausea perenne e il giramento di testa costante. Mi sembrava di essere sempre in lavatrice, con il programma della centrifuga a milleduecento giri. Mi arrabbiavo per niente, rispondevo sempre di merda a tutti e non avevo mai torto. Chi diamine ero diventata?

Non volevo essere quel tipo di persona, io non ero mai stata quel tipo di persona, ecco perché quella mattina mi decisi a fare qualcosa che mai avrei creduto possibile in vita mia. Gli assistenti sociali ci avevano provato innumerevoli volte a farlo subito dopo la morte dei miei genitori, ma la mia reticenza adolescenziale e tutti i miei problemi da teenager, incomprensibili ai loro occhi, avevano fatto desistere in fretta quelle persone, a me del tutto estranee, dall'insistere ulteriormente. Quella mattina invece, tra i corridoi dell'Olympia High School, mi diressi di mia spontanea volontà verso la porta della psicologa della scuola. Non era da me chiedere aiuto, non lo avevo mai fatto in diciotto anni di vita, ma avevo capito che ammettere di avere bisogno non è una debolezza, anzi è una forza morale incredibile. È il primo passo per risolvere il problema e io, detto francamente, ero sommersa dai problemi. Parlare con qualcuno di totalmente estraneo e imparziale, mi avrebbe aiutato a mantenere solido il mio giudizio e a non fare impazzire del tutto le mie povere celluline grigie.

Con mano tremante e l'ormai indispensabile presenza di Chris al mio fianco, bussai sulla porta semi chiusa della dottoressa, attendendo fin troppo pazientemente una risposta. Una donnina di appena un metro e cinquanta, con i capelli biondo platino a caschetto, due vispi occhi azzurri, coperti appena da una montatura di occhiali nera, mi iniziò a fissare curiosa, mentre un dolce sorriso le increspava le labbra. Come cazzo facesse ad essere sorridente alle otto del mattino io non lo volevo neanche lontanamente sapere. Io normalmente iniziavo ad essere una persona trattabile verso mezzogiorno. Non prima, mai.

«Ciao, come posso aiutarti?» Interdetta, girai la testa verso Chris cercando di capire se anche lui aveva compreso ciò che avevo capito io. Era ubriaca questa qui? Cosa mai avrei potuto chiederle? Un mazzo di fiori?
«Vorrei entrare e parlarle.» Risposi ovvia, stringendomi le braccia al petto. Iniziavo un po' a pentirmi di aver deciso di venire proprio da lei. Mi sentivo un po' in imbarazzo ed era proprio l'ultima delle emozioni che volevo provare in quel momento.
«Oh ma certo cara, vieni pure. Lui?» Lo sguardo della donna si illuminò, prima che un altro mieloso sorriso le colorasse il viso. Poi puntò il suo sguardo verso il ragazzo al mio fianco, apparendo, in un primo momento, un poco intimorita da lui. Faceva bene ad esserlo, tutti avevano paura di lui, soprattutto quando aveva quello sguardo da distruttore del mondo.
«Io vado a fare un giro.» Rispose da solo Chris, dopo avermi lanciato uno sguardo rassicurante. Prima di andare mi lasciò un bacio sulla fronte, sotto lo sguardo curioso della psicologa che, neanche per un secondo, aveva smesso di sorridere.

«Bene, vieni pure cara.» Mi invitò ad entrare nel suo ufficio. Dopo quel cara ne avevo la certezza: era ubriaca.
«Allora, come ti chiami?» Mi chiese dopo essersi accomodata sulla poltrona, dietro alla grande scrivania.
«Xeni McAdams.» Mi sedetti a mia volta, nella sedia di fronte a lei. Il mio sguardo iniziò a perlustrare l'ambiente circostante, cercando di assimilare quante più informazioni possibili sulla donna che avevo di fronte. Donna curiosa, oserei dire.
«Io sono Jenny.» Quel sorriso poteva accecare dannazione. Ma non la finiva mai? Sempre sorridente? Che noia.
«Piacere Jenny.» Mi sforzai di sorridere a mia volta, fingendo che fosse tutto okay. Ero molto brava ormai in quello e dubitavo fortemente che uno/a psicologo/a avrebbe potuto davvero capire che era tutto un bluff.
«Vuoi accomodarti sulla poltrona?» Affabile e carina come poche donne su tutto il pianeta Terra. Doveva essere assolutamente ubriaca, io per comportarmi come lei avrei dovuto esserlo per forza. Su questo non avevo dubbi.

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