23 | Capolinea

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Patetici. Continuavo a ripetermi nella mente una sola parola, più il tempo passava e più capivo cosa stava succedendo intorno a me: patetici.

Davvero credevano di potermi ingannare con così poco?

Non avevo bisogno di vedere con gli occhi per capire dove diavolo fossi. New York era la mia fottutissima città e io la conoscevo fin troppo bene. Ogni angolo merdoso, ogni buco maleodorante di quella città io lo conoscevo. Era mio, mi apparteneva come l'ossigeno che respiravo.

Era dunque evidente che loro non conoscessero ancora molto bene me.

Mi avevano legato mani e piedi con delle fascette in plastica, come se fossi un insaccato, e mi stavano sballottando da un furgone all'altro con una specie di benda intorno agli occhi, come se io, Xeni McAdams, non fossi in grado di orientarmi comunque in quella che era la mia città. Mi avevano presa per deficiente? Altamente probabile a questo punto. Avevo perso di vista Kang-Li e le mie due guardie del corpo, appena fuori dal Poseidon, poi l'odore del cloroformio aveva annebbiato i miei sensi, facendomi perdere il contatto con la realtà. Ci avevano tenuto d'occhio per un bel po' di tempo e questo era stato il risultato. Avrei sicuramente dovuto licenziare alcuni dei miei uomini, chi sapeva fare bene il loro lavoro non avrebbe permesso che ciò accadesse al proprio capo.

«Ehi bambolina, siamo quasi arrivati, non ti agitare troppo.» L'uomo alla guida del furgone sembrava un castoro, non riuscivo a guardarlo attraverso la benda per più di dieci secondi senza scoppiare a ridere. Lo sapevo benissimo che eravamo quasi arrivati, come sapevo benissimo che stavamo andando da lui: Il Mancino. Nessuno lo aveva mai visto in faccia ed era vivo per raccontarlo, nessuno sapeva quale fosse il suo vero nome, nessuno sapeva davvero qualcosa sul suo conto. Era un fantasma, un'ombra nera come la morte che si cibava della vita pulsante di New York. Io non ero da meno certo, lungi da me giudicarlo, ma io non ero mai stata così perfida, così spregiudicata, così violenta, senza una giusta causa dalla mia parte. Non uccidevo per divertimento, non torturavo per sentire le urla di terrore delle mie vittime per pura goduria, non commettevo reati efferati per il puro gusto di farlo. Io ero quello che ero perché ero stata costretta a diventarlo dal mio passato, il che non era comunque una giustificazione sufficientemente valida di certo. La mia vita però mi aveva costretto ad essere così, altrimenti sarei stata calpestata e io non ero proprio il tipo che si faceva calpestare. L'unico mio obiettivo era fare quello che facevo al meglio, non per essere ricordata o cazzate varie, ma per il solo e semplice motivo che io tutto ciò che facevo lo facevo bene, altrimenti non aveva senso farlo.

«Scendi stronza, non ho tempo da perdere.» Ed ecco che si tornava in azione. Odiavo profondamente il signor castoro qui presente, ma odiavo ancora di più il modo in cui mi stava parlando. Lui non sapeva niente di me, non sapeva un cazzo.
«Ma come siamo gentili! Prima bambolina, ora stronza, ne hai fatta di strada!» La mia bocca non era fatta per rimanere chiusa e non sarei mai e poi mai stata zitta di fronte a nessuno.
«Taci puttana.» Mi arpionò per i capelli, costringendomi ad abbassarmi e ad avanzare al suo passo. Ora puttana? Che i giochi abbiano inizio!
«Ti conviene scappare lontano, perché quando avrò le mani e i piedi liberi, sarai la prima persona che distruggerò.» Promisi, perché dannazione lo avrei fatto con le mie stesse mani. La presa sui miei capelli si intensificò, facendomi bruciare il cuoio capelluto dal dolore. Strinsi i denti, non era da me implorare o mostrare dolore e non lo avrei di certo fatto con il signor castoro.
«Taci donna!» Era la seconda volta che mi ordinava di tacere, per sua sfortuna non sarebbe mai potuto arrivare vivo a una terza. Ci fermammo in un ampio spazio, simile a un seminterrato, poi con un montacarichi piuttosto rumoroso salimmo di qualche livello. Era tutto buio, la sola luce del montacarichi illuminava di poco l'ambiente che ci circondava, man mano che salivamo, ma ciò che riuscivo a scorgere era più che sufficiente per comprendere dove mi trovassi e cosa stesse per succedere. Non ero stupida, non lo ero mai stata.

DownWhere stories live. Discover now