04 | Erede

656 25 2
                                    

Le persone deludono e, la maggior parte delle volte, non se ne rendono nemmeno conto. Cosa possiamo farci? Niente. Assolutamente niente. L'unica cosa che possiamo fare è fregarcene e andare avanti a testa alta, con qualche ammaccatura e cicatrice in più, perché la vita è fatta molto più di salite che di discese. In altre parole sono molte più le delusioni, che le gioie. Questo era quello che avevo imparato nella mia breve vita ed ogni singolo giorno che passava, mi rendevo conto che era davvero così.

Erano le cinque di pomeriggio e stavo prendendo a pugni il sacco da boxe da quasi due ore, ma non ero ancora sazia. Stanca sì, ma sazia mai. Sentivo la frenesia scendere dalla testa nelle braccia, per poi arrivare nelle mani, che non vedevano l'ora di colpire ancora e ancora il sacco di fronte a me. Al momento mi stavo immaginando la faccia di Cheryl e questo aiutava sicuramente a peggiorare il mio stato d'animo, facendomi aumentare l'intensità dei colpi. Labbra da canotto sarebbe diventata il mio nuovo bersaglio nel combattimento in palestra. Era più stimolante di quanto pensassi, immaginare di prendere a pugni la sua faccia. Scoperta interessante.

Dopo l'ennesimo destro, mi resi conto che mancava qualcosa, così mi levai i guantoni. Volevo sentire il sangue scorrere dalle mie mani, volevo sentire del dolore per capire se ero ancora viva o se stavo solo esistendo. Era macabra come cosa, lo sapevo bene, ma era tutto ciò che mi permetteva di rimanere collegata alla realtà. La telefonata ricolma di rimprovero e odio di François di quel pomeriggio, non faceva altro che ricordarmi quanto schifo mi facesse la mia vita al momento, quanto odiassi vivere con quel francesino da strapazzo e la sua moglie geneticamente perfetta in tutto. I pugni sul sacco erano sempre più veloci e forti, come i battiti del mio cuore in fermento. Uno, due, tre... Continuavo fino a quando non mi sentivo più le dita. Volevo crollare e poi rialzarmi. Solo il dolore mi aiutava a essere concentrata. Solo il dolore mi aiutava a non impazzire del tutto.

«Xeni hai visite.» La voce del Boss mi riscosse dai miei pensieri, facendomi rallentare gradualmente i colpi. Quello che stava entrando nella sala della palestra, seguito dai suoi schifosi scagnozzi, era Lucius, un capo mafia che da qualche mese si era preso una cotta per me e mi voleva tra le sue concubine. Per amor del cielo! Non che lo disdegnassi, per carità aveva il suo fascino come tutti, ma non volevo diventare la scopa amica del boss mafioso di quartiere che aveva manie di grandezza spasmodica e che in realtà non contava nulla. Anche no, grazie. La beneficenza un'altra volta. Mi fermai dal tirare pugni e osservai le mie mani. Erano piene di tagli e sangue, ma ancora non sentivo niente. Non provavo dolore. Rivolsi la mia attenzione ai nuovi arrivati. La buona educazione prima di tutto.

«Ciao Lucius. Cosa vuoi?» Era più forte di me. Le parole mi uscivano dalla bocca, ancor prima che il mio cervello potesse elaborale. La gentilezza non faceva parte del mio DNA. Ero sempre concentrata ad andare dritta al sodo, volente o nolente che fosse ero così.
«Xeni, sempre concentrata sull'argomento principale come al solito.» Disse Lucius avvicinandosi di più a me. Un accenno di un sorrisetto comparve sulle mie labbra per un istante, prima che decisi di avvicinarmi alla borsa che usavo per venire ad allenarmi. Presi un asciugamano e me lo misi intorno al collo, poi presi la bottiglia d'acqua intatta e iniziai a scolarmela tutta.
«Odio i giri di parole.» Gli sorrisi appena, riponendo poi la bottiglia vuota nella borsa. Lucius sapeva poche cose di me, ma erano quelle per le quali mi ero guadagnata il mio nome. Poche ma buone.
«Io invece odio chi non fa cosa voglio. Sai sono un po' viziato e forse te ne sarai accorta, ma proprio non riesco a fare a meno di volere ogni cosa bella che mi capita sotto gli occhi. Tu mi capisci vero?» La sua voce arrivò alle mie orecchie avvolta da un tono di superiorità e supponenza che proprio non concepivo. Odiavo gli spacconi e odiavo quelli come Lucius.
«Oh beh, sono fortunata allora che a me non freghi niente di te. Oggi non è giornata Lucius per le tue avance scadenti, gira a largo.» Gli risposi chiudendo la borsa e andando verso gli spogliatoi. Avevo bisogno di una doccia, l'allenamento di quel pomeriggio aveva fruttato parecchio e io puzzavo veramente tanto. Prima che potessi arrivare a destinazione però, mi ritrovai sbattuta contro al muro, con la mano di uno dei due amiconi di Lucius alla gola. Stava sbagliando proprio la tattica con me e ci avrebbe solo rimesso. Era così difficile da capire? Forse per il suo unico neurone sì.

DownWhere stories live. Discover now