05 | Il patto

569 27 9
                                    

Il giorno seguente fu ancora peggio del precedente, già a partire dalla mattina stessa, quando il mio dolce paparino con il suo schifoso accento francese, mi costrinse a cambiare look perché ero troppo dark, secondo il suo schifoso parere di radical chich parigino. Già, erano tornati prima del previsto dal loro bellissimo viaggio di lavoro. Mai una gioia.

«Devi smetterla di vestirti in questo modo. Sembri una depressa cronica che non fa altro che andare a funerali e tagliarsi. Mi chiedo come abbiamo potuto adottarti.» La sua voce odiosa mi entrò da un orecchio e mi uscì dall'altro. Avevo sperato con tutta me stessa che questa famiglia potesse essere diversa, ma alla fine gli stronzi erano tutti uguali, ma soprattutto erano ovunque nella mia vita. Mai avere aspettative, era la mia terza ed ultima regola. Le persone sono tutte uguali. Sono feroci contro quello che non capiscono o che non conoscono, solo perché è diverso dal resto. Le persone sono spietate e senza scrupoli quando si tratta di giudicare gli altri e lo fanno senza mezze misure, senza sapere cosa sta dietro agli occhi di quella persona. E sono dei codardi quando si tratta di giudicare se stessi. Bravissimi a psicoanalizzare gli altri, pessimi nel trovare i loro stessi difetti. Ironico no? Moralisti del cazzo.

«Come vuole lei, sua maestà!» Le mie parole erano biascicate e velenose. Volevo farlo soffrire tanto quanto lui aveva fatto soffrire me in tutti quei mesi, poi però pensai che non spettava a me giudicare. C'è un solo Dio e alla fine sarà sempre lui a stabilire che persona merdosa si è stati in vita, senza vie d'uscita. Andai in camera e finsi di cambiarmi la maglia, per poi uscire dalla finestra, prendere la mia jeep e andare direttamente a scuola. Avevo bisogno di schiarirmi le idee e l'unico modo che conoscevo era stare per i fatti miei, ascoltando un po' di musica. Vidi i cancelli della scuola in lontananza e un conato di vomito mi arrivò dritto in gola, come una stilettata al petto. Non odiavo studiare o il luogo della scuola in se, odiavo le persone che ne facevano parte. Odiavo quei ragazzini insignificanti che si aggiravano per i corridoi senza un briciolo di rispetto per gli altri o quelle persone talmente paurose da non reagire mai e non avere un briciolo di amor proprio o personalità. Una vita passata ad accettare e basta le scelte altrui non è vita, è schiavitù moderna.

Mi levai una cuffietta dall'orecchio e scesi dall'auto continuando a camminare diretta a scuola, fino a quando un piede non entrò nel mio campo visivo. Qualcuno voleva farmi uno sgambetto. Si può sapere perché tutte a me? Avevo un cartello in testa con scritto devastatemi le palle? Non credo proprio. Finsi di urtare il piede del diretto interessato e di cadere, ma all'ultimo momento mi girai su me stessa, ritornando retta in piedi e feci un dito medio alla persona che aveva provato a farmi cadere.

«Oh mio Dio! Abbiamo un'atleta provetta. Perché non ti iscrivi al corso di atletica?» La voce derisoria di quell'oca giuliva di Cheryl mi arrivò alle orecchie immediatamente, facendomi ridere come poche cose riuscivano a fare. Non avrei mai dimenticato quella voce così stridula e così da stronza. La vipera era ovviamente insieme alle sue schiavette personali. Il mio sguardo era tagliente e velenoso, ma quella mattina non avevo voglia di attaccare briga, non subito almeno. Potevo divertirmi un po' prima. Ricominciai a camminare ignorandola, ma una mano mi tirò indietro per la spalla, con scarsi risultati aggiungerei. Ancora. Mi aveva toccato ancora senza permesso. Mi girai lentamente, il mio viso era una maschera d'ira. Perché io ero molto arrabbiata. Aveva osato toccarmi una seconda volta, non l'avrebbe passata liscia.

«Non ti hanno insegnato a rispondere i tuoi genitori sfigati?» Potevo tollerare molte cose, potevo passare sopra al fatto che mi avesse toccata, ma i miei genitori non si dovevano toccare o pronunciare. Dio solo seppe perché mi trattenni dal spaccarle la faccia in quell'istante. Solo lui.
«Senti un po' barbie del cazzo, non hai niente di meglio da fare? Sai, c'è un proverbio che dice di non rompere le palle a chi non le rompe a te, ma sembra proprio che tu sia così stupida da non conoscerlo.» Mi avvicinai a lei e strinsi a fessura gli occhi contornati dall'eye-liner ed evidenziati dal mascara. La sua espressione di ghiaccio vacillò per qualche istante, per poi ritornare normale. Era brava a recitare, questo glielo concedevo.
«Sei solo una sfigata che si atteggia ad essere una Wonder Woman. Stai lontana da Christopher, lui è mio, così come lo è Taylor.» Oh mio Dio, pensava davvero di farmi paura? Stava marcando il territorio come un cane. Dio salvami. Poi...Ho già detto che odio gli spacconi?

DownWhere stories live. Discover now