25 | Sono scelte

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Avevo sempre pensato di essere la somma delle mie scelte, principalmente perché credevo di prendere sempre le scelte migliori che la vita mi aveva messo davanti. Avevo sempre pensato di fare le scelte più giuste per me, tuttavia mi ero resa conto troppo tardi di aver fatto le scelte migliori solo per l'organizzazione, non per me. Alla fine io per loro non contavo molto, ne era la prova ciò che era accaduto meno di quarantotto ore fa. Ero una donna in un mondo di uomini che si divertivano a sminuire e ridicolizzare i più deboli. Ed ero solo una pedina nelle loro mani.

A pensarci bene mi veniva solo da piangere. Dio mio... Mi avevano solo usata per tutto quel tempo e non me ne ero resa conto. Io che mi vantavo tanto di saper anticipare le mosse dei miei avversari, io che mi vantavo di essere diversa da tutti i miei coetanei, mi ero fatta mettere nel sacco così facilmente, come un pivello alle prime armi. Alla fine forse lo ero anche io. Mi ero lasciata accecare da una cotta spaziale per Christopher e la situazione non aveva fatto altro che peggiorare, sfuggendo al mio controllo. Toni, colui che avevo considerato da sempre come un padre, mi aveva pugnalato alle spalle, tradendomi per del vile denaro. Non avevo nessuno, ero sola al mondo. Avevo solo me stessa e ultimamente iniziavo a non bastarmi più. Volevo di più dalla mia vita e volevo di più dalle poche persone che mi stavano accanto. Me ne ero resa conto troppo tardi. Avevo lasciato che fossero altri a prendere per me le mie scelte perché ero troppo impegnata a piangermi addosso e a logorarmi nel mio stesso dolore di una perdita che probabilmente non avevo mai davvero subito. Avevo compreso troppo tardi che non avevo mai scelto davvero io. Non avevo una mia opinione, una mia vera idea su praticamente nulla. Ogni mio pensiero era filtrato da quello che l'organizzazione pensava, da quello che Toni pensava, da quello che Christopher pensava. Non ero più una schiava della società, ma ero diventata una schiava della criminalità e questo ora non mi stava più bene. Finalmente avevo aperto gli occhi, finalmente avevo capito che cosa volevo fare davvero e non mi sarei di certo tirata indietro proprio ora. Il mio piano era semplice e coinciso, senza fronzoli, senza ulteriori perdite di tempo. Forse, prima o poi, sarei anche riuscita a ricucire le mie vecchie ferite di guerra.

•••

Quel pomeriggio ero stanca oltre ogni mio limite e Kang-Li aveva pensato bene di viziarmi con uno spuntino, inutile dire che poi io, donna dalla carne debole, ero finita con il concentrarmi in tutto tranne che in quello che doveva essere il mio inattaccabile piano d'assalto.
«Xeni smettila.» Era un avvertimento moderato, ma suonava a tutti gli effetti come una minaccia. E io, che non mi spaventavo facilmente, avevo sempre trovato intriganti le minacce.
«Di fare che?» Innocente e falsa come poche, avrei potuto recitare e vincere pure un Emmy, per quanto ero brava.
«Di strusciarti su di me. Sono buono, paziente, calmo e accondiscendente, ma non sono un santo.» Sentivo una strana tensione in quelle parole, non era facile per Kang-Li rimanere saldo e convinto nella sua immobile apatia, considerando anche la sua ormai più che evidente erezione.
«Non sto facendo proprio niente.» Malcelai il sorriso sul mio volto con i capelli, ma ormai ero prossima al collasso. Stavo cadendo nella mia stessa trappola, ma non riuscivo a smettere di sorridere. Avevo voglia di lasciarmi andare tra le braccia dell'uomo che non voleva i miei soldi, che non voleva uccidermi e che mi conosceva da tutta una vita ormai.
«Certo, come no...» Passarono solo pochi istanti, poi ripresi a fare quello che avevo fatto fino a qualche secondo prima. Ero un diavolo tentatore.
«Xeni!» La voce roca di Kang mi fece sorridere fino alla punta dei capelli e non riuscì più a fingere. Crollai come un castello di sabbia, finendo per essere solo e unicamente sincera.
«Senti... Capisco che tu hai delle esigenze, ma io non voglio correre. Non con te che fai sempre tutto ai tremila all'ora.» Iniziò il mio amico, cercando di mantenere le distanze da me e dal mio corpo.

E diavolo... Doveva essere molto difficile per lui, esattamente tanto quanto era difficile per me tenere ferme le mani e non toccare i suoi capelli o il suo petto o le sue braccia. Perché anche senza tutti quei tatuaggi, senza quell'aria da bad boy, senza gli addominali scolpiti alla perfezione, Kang-Li era, ai miei occhi, decisamente troppo desiderabile.
«Ma io con te voglio andare ai diecimila all'ora.» Berciai, buttandomi a peso morto su di lui. Se Maometto non va alla montagna, allora sarà la montagna ad andare da Maometto!
«Dio mio... Non guardarmi così!» Kang si passò una mano sul viso stanco, dopo avermi lanciato un'occhiata. Era chiaro oramai che, tra i due, l'adulto responsabile era lui.
«Così come?» Mi avvicinai al suo orecchio, quel tanto che bastava per fargli sentire il mio respiro sulla pelle.
«Lo sai benissimo come.» Mi afferrò le braccia, stringendo la presa in segno di avvertimento. Era disperato, non sapeva più cosa fare per trattenere la mia lussuria. Ma la domanda era un'altra: perché lo stava facendo? Aveva una qualche e assurda ansia da prestazione?

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