capitolo diciotto

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<<Dev'essere andata via la corrente>> dissi tra me e me anche se non riuscivo a spiegarmi la lampada accesa, forse non andava a corrente ma a batterie, spostai così gli occhi verso il generatore che avevamo nel corridoio ma le spie erano tutte funzionanti e la luce di emergenza non si era accesa. Allora l'unica cosa plausibile che mi passò per la testa era che fosse stato Dustin per farmi uno scherzo.

<<Wow fratellino hai davvero un grande senso dell'umorismo!>> urlai ma neanche questa volta rispose qualcuno, mi rigirai verso il salotto e sobbalzai quando vidi una figura seduta sulla poltrona prima vuota. La guardai meglio e più la osservavo più mi convincevo che non potesse essere né Dustin né mamma. Ma chi era allora? Iniziai a tremare e il cuore aveva ormai preso a battere più veloce.

<<Come ti sei permessa?>> una voce forte e decisa riecheggiò. Sentì un colpo al cuore. Non poteva essere, non di nuovo, non ora. Rimasi lì immobile mentre cercavo di capire perché, provavo paura, disperazione e rabbia tutte insieme e più pensavo più stavo male. Poi papà parlò di nuovo.

<<Vuoi davvero farmi arrabbiare eh!>> urlò. Ma non stava parlando a me, non proprio, abbassai di poco lo sguardo e non credetti ai miei occhi.

<<Scusa>> disse con un vocina flebile e spaventata la bambina un metro davanti a me. Era me. O meglio una piccola Nicole.

<<Stai cercando di farmi passare il limite piccola rompipalle, ma tu non hai idea di quello di cui sono capace>> scattò qualcosa in me, quella frase non mi era nuova, anzi me la ricordavo fin troppo bene e non era l'unica cosa, ricordavo perfettamente ciò che accadde prima e dopo, quale bambina si scorderebbe il suo settimo compleanno? Io, a modo mio, non lo avrei fatto di certo.

Ero al cancello della mia scuola, stavo aspettando papà come facevo ogni giorno nella speranza che mi venisse a prendere come vedevo tutti i papà dei miei compagni andare a prendere i loro figli sorridendogli. Quel giorno in particolare speravo che tornando a casa insieme mentre mi portava in braccio si sarebbe messo a cantarmi tanti auguri, ma anche quel giorno non si presentò. Tutti i bambini a questa età sono dei sognatori, io lo ero più di tutti. Il problema era che una bambina di sette anni dovrebbe sognare di diventare una principessa, non che il padre avesse fatto anche per un solo giorno il padre.

<<Ehi, viene qualcuno a prenderti?>> si avvicinò un bambino che forse sarà stato un po' più grande di me all'epoca, circa sugli otto anni.

<<No>> risposi secca.

<<Vuoi venire a giocare con noi al parco?>>

Il parco. Tutti i giorni, quando ero al cancello ad aspettare, guardavo i miei compagni correre verso il parco sotto la scuola, fare lo scivolo, dondolarsi sull'altalena, a volte avevo avuto anche l'impulso di raggiungerli ma poi ci ripensavo, chissà quanto mi avrebbe sgridato papà se lo avesse scoperto.

<<Si! Arrivo subito>> quel giorno qualcosa mi disse di andarci e divertirmi come facevano tutti. Sarebbe stato infatti uno dei più bei giorni che mi ricordassi di aver vissuto. Però prima o poi sarei dovuta tornare a casa e papà non ne sarebbe stato contento.

<<Guardami mentre ti parlo!>> continuò alzandosi di scatto dalla poltrona. Ecco che la lampada sfarfallò di nuovo.
<<Che c'è non parli più!>> ora anche la piccola me piangeva, aveva paura e si sentiva in colpa, in colpa per aver fatto la bambina <<vieni qui forza>>

<<No!>> urlai di getto anch'io allungando una mano verso la piccola Nicole per fermarla. Sapevo cosa sarebbe successo tra qualche secondo, ma quando credetti di afferrarle la spalla la sfiorai soltanto e la mia mano le passò attraverso. Era tutto un'illusione. Era tutto nella mia testa. Non feci altro che rimanere ferma a guardarmi andare incontro ad una delle sue scenate peggiori che mi sarebbero rimaste impresse per sempre, non solo come ricordo ma anche sulla pelle.

All I want || Eddie MunsonDonde viven las historias. Descúbrelo ahora