capitolo ventisei

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<<Perché non mi hai mai detto che fosse qui, a Hawkins?>> ci eravamo allontanati dagli altri per poter parlare tranquillamente visto che già l'argomento era delicato di suo e voltandomi verso di loro Robin lo notò e mi fece un cenno, subito dopo uscirono tutti e si spostarono in casa, lei fu l'ultima e la ringraziai sorridendole.

<<Perché avevo paura>> sospirò <<avevo paura che mi vedessi con occhi diversi e che te ne saresti andata come hanno fatto tutti>>

<<Ti voglio ormai troppo bene per andarmene Munson>> gli sorrisi sincera e lui ricambiò.

<<Non ti biasimerei comunque, anch'io dopo che lei è morta non mi sono più visto come prima, non sono più quello di prima a dire il vero, da quel giorno non faccio altro che darmi la colpa di tutto come se ad ucciderla fossi stato io>> quell'ultima frase mi fece venire i brividi, non perché avessi paura di Eddie ma perché mi ricordava esattamente me.
<<Sai com'è la classica storia: si incontrano da giovani, si innamorano, tutto va bene finché lui non inizia a bere e a diventare violento. Mamma sarebbe dovuta scappare e sai perché non l'ha fatto? Per me. Lei veniva da una famiglia benestante, colta e severa, per questo quando hanno scoperto che era rimasta incinta la sbatterono fuori di casa senza lasciarle niente, l'unica persona da cui poteva andare era lui, mio padre. A quel tempo viveva già qui con zio e credimi se dico che loro sono due persone completamente diverse: da un giorno all'altro l'azienda dove lavorarono entrambi chiuse e furono licenziati, quel lavoro era l'unica via di portare un po' di soldi a casa, fatto sta che lui reagì ubriacandosi tutti i giorni e iniziando a picchiare mamma e a volte anche me mentre zio invece divenne un'eroe, la aiutava sempre a medicarsi le ferite in modo che io non le potessi vedere, a prendersi cura di me e si cercò subito un nuovo lavoro>><<Magari finché ero piccolo potevo anche non capire bene la situazione, ma più gli anni passavano e più avevo iniziato a realizzare. Wayne mi portava sempre fuori quando si sentivano delle urla dalla loro camera e poi rientrava subito dicendomi di essersi scordato una cosa e di aspettarlo lì fuori. Avevo undici anni e lui ci stava mettendo davvero tanto, così decisi di entrare in casa e proprio in quell'istante vidi papà che la strattonava in cucina urlandole contro mentre zio cercava di calmarlo. All'inizio non si erano neanche accorti della mia presenza finché non chiesi, con un filo di voce spaventato, cosa stesse succedendo. Tutti a quel punto si voltarono verso di me, mamma mi disse di uscire subito mentre lui ammoniva di rimanere: "deve imparare come funziona il mondo" disse. Lasciò poi il braccio di lei e venne verso di me ricominciando ad urlare cose come "Guarda come lo hai conciato! Questo sarebbe mio figlio? Sembra una femminuccia con questi capelli", si allontanò, apri un cassetto della cucina e dopo aver preso un paio di forbici tornò da me ancora più impulsivo, cercai di scappare ma in un attimo mi prese per i capelli e me li tagliò>> ci fu qualche secondo di pausa e poi riprese <<Dopo quel gesto mandò tutti a fanculo e se ne andò. Ricordo che le ore dopo furono un tormento, io ero come paralizzato seduto sul divano mentre zio aiutava la mamma. Quando tutto sembrava essersi tranquillizzato lei venne accanto a me, mi abbracciò e poi mi invitò a seguirla in bagno. Ricordo ancora le sue parole, la dolce voce con cui disse che con una piccola sistemata i capelli sarebbero venuti ancora meglio di prima e così fu: uscì che avevo i capelli rasati>>

<<Io non immaginavo che i capelli->>

<<Già, sai dicono che i capelli trattengono i ricordi>>

<<Per questo li hai fatti ricrescere?>>

<<Io amo i miei capelli lunghi>> rise <<e poi è come se fosse una rivincita su di lui>>

<<Quindi da qual giorno non lo avete più visto?>> chiesi con cautela, lasciando intendere che se non se la sentisse poteva non rispondere ma lo fece.

<<Lo credevamo, davvero, ma lui tornò tre giorni dopo più fuori di testa di prima, ubriaco, drogato e chissà cos'altro>> si alzò d'impulso e iniziò a camminare avanti e indietro.

<<Si, accadde quel giorno>> mi rispose capendo cosa mi passasse per la testa senza dire niente <<accadde tutto in un attimo: stavo tornando da scuola quando a pochi metri dalla roulette notai la sua macchina parcheggiata lì davanti e la porta spalancata, mi misi a correre e quando entrai stavano litigando di brutto, non avevo mai visto mamma così, era esausta ma stava combattendo contro di lui che non faceva altro che urlarle contro>> si era fermato davanti a me ma sembrava agitarsi di più e stava per piangere così mi alzai anch'io e gli andai vicino <<ho cercato di fermarlo ma lui mi ha spinto facendomi cadere per terra, a quel punto guardai lei e piangendo mi disse di andare a cercare aiuto. Capisci? L'ho lasciata sola! Sono corso via e l'ho lasciata da sola!>> era in preda al panico e cercai di calmarlo in tutti i modi ma non sembrava ascoltarmi.

<<Te ne sei andato per cercare aiuto non->>

<<Non è servito a niente, quando sono tornato insieme a Wayne lei era distesa sul pavimento e lui era scappato>> collassò accasciandosi per terra <<lei era morta e io invece che rimanere con lei sono scappato>>

<<Eddie...>>

<<Da quel giorno mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi rimasto lì, se avessi riprovato ad allontanarlo, mi chiedo se mamma potesse essere ancora viva>> mi misi a terra a fianco a lui e gli strinsi la mano, stava tremando.

<<Eddie guardami>> cercai il suo sguardo che era puntando davanti a sé e continuai solo quando si rivolse verso me <<non è stata colpa tua>>

<<Non è vero, lo dici solo per->>

<<Non potevi fare niente>>

<<E non è forse questa una colpa?!>> buttò fuori alzando leggermente la voce per poi girarsi come se si sentisse in imbarazzo.

<<Eri solo un bambino Eddie>> aggiunsi e poi lo abbraccia più forte che potessi.

All I want || Eddie MunsonWhere stories live. Discover now