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Nonostante fossi alquanto scemo e tutto preso da Gaia, non potevo tralasciare la mia carriera. Le richieste di ammissione al MIT sarebbero chiuse il 7 gennaio, dovevo sbrigarmi, correggere tutti i miei scritti e cercare di apparire migliore degli altri. Le mie prof d'inglese e di matematica, rispettivamente Loredana e Carola (tra di noi le chiamavamo per nome) non avevano ancora inviato le lettere di raccomandazione, obbligatorie ai fini della candidatura. Se la stavano prendendo comoda, durante le vacanze. Non si rendevano conto di quanta roba ci fosse in ballo, non immaginavano che io non avevo smesso di lavorare neanche il 25.

<<Prof, scusi se la disturbo in questo periodo, ma per il processo di ammissione a un'università, mi è richiesta una lettera di raccomandazione da parte di due insegnanti. Volevo chiederle se avesse intenzione di scriverla (in inglese) e aiutare la prof di matematica, che purtroppo non è molto esperta in lingue. In caso affermativo, le arriverà una email con le procedure su come strutturarla e spedirla>> avevo scritto a Loredana il 23 dicembre.

<<Ok Maurizio, ma l'importante è che ci sia qualche giorno di tempo per scrivere queste lettere...intendo, non in questi giorni di Natale...>> mi aveva risposto, pigramente.

Avevo condiviso con loro anche l'articolo del MIT su come scrivere una buona lettera di raccomandazione, augurandomi che evitassero banalità del tipo: "Maurizio è davvero un bravo ragazzo, studioso e diligente, meriterebbe davvero di entrare in questa università". Non seppi mai cosa scrissero lì dentro, quanti errori grossolani avessero compiuto e quanta poca originalità dilagasse in quelle parole. In fondo non ne avevo la certezza, ma lo davo per scontato, non ero solito stimare i miei insegnanti, ad eccezione della prof Zavvi. Inoltre, proprio non mi piaceva che qualcun altro, oltre me, dovesse intromettersi in quella situazione, soprattutto perché era un segreto, né i miei genitori né mio fratello erano al corrente di quello che stavo cercando di ottenere. Speravo solo che i miei prof non si mettessero a spifferare in giro la faccenda. In particolar modo, temevo lo potesse fare Loredana. Un'insegnante piuttosto odiosa, che amava prendere in giro e osannare sempre gli stessi studenti: aveva i suoi preferiti, era evidente. Io, purtroppo e per fortuna, ero tra quelli che adorava. Anche Luigi, quell'anno, per qualche assurdo motivo era entrato nella cerchia degli eletti. Mi faceva imbestialire, perché veniva ricoperto di lodi per qualunque parola uscisse dalla sua bocca e non c'era nulla di più sbagliato che dare spago a uno superbo come lui.

<<Non sempre gli stessi studenti!>> diceva Loredana con il suo pessimo inglese, ogni volta che ci proponevamo per rispondere a una domanda. Era la professoressa peggiore del liceo, se non di tutta la regione. Le sue lezioni consistevano in leggere pedissequamente il libro o schede oppure farci ascoltare delle lezioni di altri caricate su Youtube. Come già accennato prima, parlava la lingua come un ragazzino di terza media. La maggior parte della classe era ben più fluente di lei. Ma più di ogni altra cosa, la sua pronuncia era da cani, calcava ogni singola lettera e fin troppo spesso trasmutava vocaboli interi. Tanto per dirne una, una mattina in terzo liceo stava spiegando (o meglio leggendo sul libro) "Beowulf", un poema epico anonimo dell'VIII secolo. Orbene, durante quella lezione, ci aveva fatto una testa così sul fatto che il nome dell'opera si pronunciasse "bi-o-uolf", fermandosi tra i 30 secondi e i 43 anni sulla lettera "o". Il giorno dopo, magicamente il poema era diventato "be-uolf", con grande stupore di tutti noi. Desistemmo dal chiederle per quale razza di motivo avesse cominciato a pronunciarlo in quel modo. Si può sbagliare, ovvio, ma simili scene erano delle vere e proprie costanti nelle sue lezioni. Per non parlare poi di quella volta che aveva costretto cinque di noi, me compreso, ad iscriversi alla fantomatica "Business Week", spacciandola come la migliore esperienza formativa di tutta la Toscana, con tanto di colloquio altamente selettivo. Stando alle sue parole, saremmo diventati dei ricchi uomini d'affari e avremmo appreso tutte le tecniche del business moderno. Per prima cosa, tutti i partecipanti vennero ammessi, non uno di meno: i colloqui erano fake, a quanto pare. Ciliegina sulla torta, non imparammo niente di niente in quella settimana. L'inglese venne rimpiazzato dall'italiano e dal dialetto locale e le grandi attività si trasformarono in passare il tempo chiusi in una stanza a far finta di combinare qualcosa di utile. Risultato: sette giorni buttati nel cestino. Non era un caso che non ci avesse chiesto nemmeno una volta "Com'è andata l'esperienza?". Per fortuna, altrimenti l'avremmo riempita di insulti. Ecco, questa era Loredana.

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now