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Una volta alzatomi in piedi, non avvertii alcun tipo di stanchezza, anzi, mi sorpresi per il mio stato d'animo: ero motivato.

<<Buongiorno! Sei riuscito a riaddormentarti?>> mi chiese mamma.

<<No, ma non importa>> le risposi.

L'adrenalina stava salendo a dismisura. Ero impaurito, ma anche davvero gasato. Non avrei mai pensato che le parole di mia madre potessero avere un simile potere terapeutico. Alle 7:20, uscimmo tutti e tre di casa: io con la mia macchina, i miei genitori con quella di papà. Perché non andare semplicemente con una? Beh, perché, in linea teorica, dubitavo che sarei tornato a casa subito dopo l'esame. Speravo che mi sarei goduto un po' il momento! Io e la mia Lancia partimmo, non prima però di aver raccomandato ai miei genitori di darmi sufficiente vantaggio, perché andavo così lento che mi avrebbero recuperato subito. Almeno sulla strada, non volevo pressioni! Salito in macchina, la paura tornò a farsi sentire. Provai a contrastarla canticchiando Believer, la quale mi aveva aiutato a mantenere alta la motivazione in quel periodo, soprattutto nei giorni prima dell'esame. Arrivai al parcheggio e trenta secondi dopo, grazie al vantaggio iniziale, anche mamma e papà. Ci salutammo in fretta, rimandando le foto del gran momento per scaramanzia: che senso aveva farle prima dell'orale? Rifiutai, mi avrebbero portato sfortuna. Ormai da solo, mi misi in marcia verso l'edificio 1. Sebbene mi ricordasse la classica atmosfera delle mattinate con Ivi, quel pensiero passò il mio cervello da parte a parte. Niente roba amorosa, almeno per quel giorno. Ero concentrato come un soldato in missione. Arrivai al piazzale della scuola, completamente deserto. Tirai un sospiro di sollievo nel non vedere Luigi da nessuna parte. Salii la prima rampa di scale e feci il mio ingresso nell'edificio.

<<Scusate, per l'orale mi chiamano loro?>>

<<Sì, resta pure qua, che ancora devono sistemare tutto>> mi rispose una bidella.

La pancia mi andava a fuoco ogni volta che mi soffermavo un secondo a realizzare cosa stessi facendo, cosa significasse essere lì. Pensare era dannoso: sarebbe stato meglio lasciare il cervello a casa, come avevo ironicamente detto il giorno prima. Era meglio concentrarsi sui campi dove mi sentivo più debole, piuttosto che prendere coscienza di dove fossi. Aprii lo zaino e presi le fotocopie sulla Costituzione e l'Agenda 2030, che mia madre aveva avuto la cura di leggere ed evidenziare al posto mio, per farmi risparmiare tempo. Nel mentre, mi ero dimenticato di aver dormito solo 5 ore: nessuno mi avrebbe tolto dalla mia trance agonistica. A soli dieci minuti dalle 8, andai al bagno, ma in quello dei professori, per evitare di inzozzarmi il vestito buono. Odiavo il fatto che i prof avessero un bagno splendente e pulito, mentre gli alunni uno schifo assoluto. Inoltre, fino a un anno prima, il sapone era cosa sconosciuta nei bagni dei maschi: ogni volta dovevo andare a rubare il flacone da quello delle ragazze. C'era voluta una pandemia globale per farlo comparire finalmente anche lì! Invece il bagno degli insegnanti, che usavo sempre quatto quatto, ove possibile, era rimasto identico: non si poteva mica migliorare la perfezione! Potrei sembrare arrogante, ma io mi sentivo un legittimo utilizzatore di quella toilette. Ben intendiamoci, non perché mi credessi bravo come un docente, ma perché i bagni pubblici li trattavo (anzi, li tratto) come se stessi a casa mia. Motivo? Grande altruismo nei confronti della società? Macché, molto più semplice: non riesco a urinare in piedi. Di conseguenza, devo sempre pulire il wc prima di mettermi seduto, altrimenti mi sporcherei con la pipì degli altri, dunque il bagno diventa addirittura più pulito, dopo il mio utilizzo. Ragion per cui mi meritavo una toilette coi fiocchi. All'autogrill o in luoghi simili, l'operazione era sempre preceduta da un'intensa sessione di pulizia. D'altro canto, in quello dei professori, non c'era bisogno di togliere nulla di vistoso, passavo la carta igienica sulla tavoletta tanto per essere sicuro. Fortunatamente, nessuno mi aveva mai beccato entrare lì dentro, nemmeno quella volta. Uscito dalla zona riservata, me ne tornai all'ingresso, aspettando la chiamata divina. Passò di lì mio zio Enrico, prof del liceo, nonché assiduo giocatore di tennis, con il quale avevo giocato il torneo sociale presso il nostro circolo nel biennio 2019-2020.

Solo nella mia testaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora