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Non ricordo da quale fonte mi arrivò la notizia, se da mia madre, professori, il telegiornale oppure compagni di scuola. La stavo aspettando con ansia da un mese, ormai avevo quasi perduto ogni speranza. Ma finalmente, accadde: giovedì 28 gennaio avrebbero riaperto le scuole dopo tre mesi. Ero entusiasta: dopo tanta attesa, mi si presentava davanti agli occhi l'occasione di incontrare Gaia. Avrei fatto a meno di scorgere dal mio banco nuovamente i volti dei professori coperti dalla mascherina, così come quelli di alcuni miei compagni di classe, ma per poter assaporare di persona gli occhi della mia amata avrei patito volentieri una simile sofferenza. Svegliarsi presto non era un problema. Anzi, secondo il mio progetto, mi sarei alzato dal letto prima del solito per poter trascorrere più tempo con Gaia. Poiché sbarcava dal suo autobus alle 7:30, non potevo permettermi di perdere neanche un minuto! Peccato per un pensiero incessante che continuava a martellarmi la testa: quanto sarebbe durato quel ritorno a scuola? I numeri del Covid erano da paura, era stato abbastanza insensato riaprire le scuole proprio in quel periodo, a dir la verità. Non che ne fossi dispiaciuto, assolutamente, ma temevo un ritorno di fiamma della dad, il che avrebbe significato ulteriore lontananza da Gaia. Non ci si poteva mica baciare a distanza! Ricacciai indietro la paura e mi comportai da ottimista per una buona volta in vita mia: era già tanto se il nostro adorato governo ci aveva concesso una tale opportunità. I giorni precedenti al gran momento, non riuscivo a trattenere l'immensa gioia che, dirompente, mi faceva sorridere e parlare di buon umore con chiunque presente nella casa.

<<Finalmente si torna a scuola, era ora! Non ne potevo proprio più di questa reclusione forzata!>> urlai a mia madre, come un bambino che, dopo essere stato in punizione, può riaccarezzare i suoi adorati giocattoli.

Anche lei era contenta, non di certo come me, ma immaginavo che per un insegnante dovesse essere davvero brutto parlare di fronte a un monitor ogni mattina, nonché essere costretta a sorbirsi i soliti "Prof, non mi va il microfono!", "Prof, la connessione a casa mia è pessima!" e via dicendo. Non si rendeva conto, tuttavia, che fosse solo una ragazza ad alimentare quella grandissima felicità. Poco mi importava di uscire di nuovo da casa, al di là da quello. Inoltre, amavo il fatto di avere tempo in più per i miei hobby e di fuggire da quella malsana competizione con Luigi. Desideravo con tutto il cuore di essere ammesso al MIT o all'Imperial College anche per potermi allontanare fisicamente da lui. In due nazioni diverse, non ci saremmo visti mai più e quello era ciò che volevo. Sarei stato finalmente libero. Certo, magari non avrei più riabbracciato nemmeno Gaia, ma avremmo avuto tutta l'estate per limonare e scambiarci lettere d'addio come in un bellissimo romanzo rosa. Ma ancora me ne mancava di strada per arrivare a quel punto. Un gradino alla volta, sarei arrivato alla meta. E il primo l'avrei salito quel 28 gennaio. Lei non era affatto contenta di doversi svegliare di nuovo prima delle 6, ma ero sicuro che nel suo profondo avesse una matta voglia di vedermi dal vivo.

<<Su col morale, domani mattina qualcuno passerà casualmente vicino all'edificio 4>> le scrissi il giorno prima.

<<E qualcun'altra si farà trovare pronta>> replicò lei.

Non le avevo comunicato quando e dove, di preciso, sarei passato, l'avevo buttata sullo scherzo per non dare a quell'incontro le sembianze di un primo appuntamento. Ero nelle mani del caso. La sera prima andai a dormire prestissimo, verso le 21:30, e misi la sveglia per le 6:20. I fallimenti precedenti avevano temprato la mia psiche, ero freddo come il ghiaccio, cercavo di non sperarci troppo per evitare una delusione troppo grande per il mio cuore. Dormii serenamente, senza alcun tipo di ansia, sforzandomi di non pensare a Gaia. Nove ore dopo riaprii gli occhi. Superato il torpore iniziale, realizzai che il momento tanto atteso era arrivato. Una nuova energia scorreva dentro di me. Mi vestii e corsi subito in bagno. Le lenti a contatto non mi diedero alcun tipo di fastidio, me li misi al primo colpo. Cosa rara, visto che ero solito togliermele di continuo, prima che me le sentissi a posto. Dopo aver mangiato, entrai di nuovo in bagno. Era giunta una delle parti più importanti: lavarsi i denti. Il mio fiato non poteva accettare alcuna imperfezione. Ricordo ancora quando la ragazza più bella di tutta la scuola nonché mia compagna di classe, Chiara, mentre era a casa mia, affianco a me, per fare i compiti insieme, mi aveva deliziato per tre ore con il suo fiato assai particolare. Non era disgustoso, ma un po' sgradevole e sinceramente non me lo sarei mai aspettato da lei. Da quel giorno in avanti, diventai ossessionato dall'avere un buon alito. E nelle situazioni importanti come quella mattina, lavarsi i denti almeno quattro volte era doveroso. Purtroppo non avevo un colluttorio, ma, rovistando nel cassetto dei medicinali, trovai delle gomme da masticare, che avrebbero aggiunto al mio fiato ulteriore freschezza, secondo la pubblicità. Probabilmente se mi fossi lavato i denti come una persona normale e niente di più, non sarebbe cambiato assolutamente nulla per via della mascherina, quel gigantesco becco bianco che mi faceva tribolare a ogni inspirazione. A meno che non ci fossimo baciati proprio quella mattina, bruciando tutte le tappe e andando subito al dunque, ma ottenere un simile risultato nella nostra prima mezz'ora di conversazione faccia a faccia era più improbabile di entrare al MIT in seconda elementare. Anzi, sarebbe stata meno di mezz'ora, se non avessi smesso di essere inutilmente puntiglioso davanti allo specchio.

Solo nella mia testaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora